02 febbraio 2023

"Noi ragazzi dell'Idrolitina" di Eugenio Baronti

 

EUGENIO BARONTI negli anni '80.   Foto GIANNI QUILICI

di Elisa Bertoni

       Erano svariati giorni che leggendo il libro di Eugenio Baronti “Noi ragazzi dell'Idrolitina (Vivere l'Italia degli ultimi sessant'anni)” provavo a raffigurarmi quel momento di grande cambiamento che ha sconvolto la storia personale e comunitaria con le sue riforme e le sue grandi trasformazioni sociali.   

       Poi, un mattino, mentre andavo a scuola, ho osservato il cielo. Era ancora densamente scuro per i temporali dei giorni passati, come se un grande mantello nero non volesse lasciare spazio alla luce, prolungando le ore notturne. Ad un certo punto, verso est, questo manto si è letteralmente squarciato, una profonda lacerazione orizzontale e la cappa scura si è prima colorata di rosa nei suoi lembi più bassi fino poi ad aprirsi, spalancandosi in un'ampia fessura da cui ha fatto irruzione l'azzurro. Le nubi incombevano ancora al di sopra come se volessero con la loro oscura pesantezza ricucire quella ormai ampia slabbratura di sereno, ma il sole era ormai filtrato e l'orizzonte si è fatto finalmente più luminoso e variegato.

      Così ho immaginato potessero essere quegli anni per i ragazzi che sono diventati i protagonisti di un'epoca, quella immediatamente successiva al '68, sia per i residenti in grandi città, vere e proprie fucine del cambiamento, sia per coloro che abitavano in località come Lammari, paese natale dell'autore, piccolo specchio di un mutamento che con incredibile forza espansiva è riuscito ad allargarsi a raggiera fino a raggiungere le periferie. 

       I ragazzi, come ben descritto da Baronti, avvertivano la pesantezza di una società radicata nei valori del patriarcato, ancorato su tabù spesso fondati su ipocrisie e stolida ignoranza, che lasciavano alle giovani generazioni ben poco spazio per l'autodeterminazione. I giovani hanno vissuto un vero e proprio strappo generazionale, visibile in modo netto anche nel modo di vestire e di portare i capelli, uno strappo doloroso ma per loro necessario per ritrovare la luce che potesse illuminare le proprie vite. 

       Baronti con lucida obiettività non disconosce i valori della civiltà contadina, nutriti di capacità di attesa, di frugalità, di lavoro umile e solidarietà collettiva e proprio per questo situa la sua generazione in una congiuntura eccezionale, quasi uno spartiacque tra due mondi in quell'azzurro che sembrava poter diventare luce per tutti e che adesso, dopo tante conquiste, rimane limpida fascia di memoria felice più che di presente vittorioso, dal momento che la società è andata poi nella direzione di un individualismo solipsistico, di una globalizzazione, pilotata anche dalle grande aziende, che ha finito per spegnere o comunque sedare ogni lungimirante entusiasmo di azione solidale. I rari sprazzi di rinata voglia di combattere collettivamente si esauriscono ancora prima di aver definito una perspicua identità: una specie di paralisi, quella odierna, che si oppone all'irruenza frizzante che ben traspare dalle pagine del libro. 

       Ecco perché il titolo, alla fine, risulta simbolicamente calzante: i ragazzi dell'Idrolitina sono quelli che con la loro effervescenza hanno provato a cambiare sapore all'acqua della vita, a darle la spinta antigravitazionale per risalire su stretti colli di bottiglia e far saltare più o meno cedevoli tappi; sono quelli che non si sono piegati né accontentati ma che con l'ardore della loro energia vitale sono diventati artefici di vera trasformazione, di vere riforme. 

       Interessanti nel libro sono anche le analisi retrospettive, perché Vittorio, il protagonista alter-ego dell'autore, non è solo personaggio calato nella storia, ma è soprattutto coscienza vigile che rilegge tutto dalla posizione distaccata, ma non meno appassionata, del presente. Convivono dunque due Vittorio, il personaggio ancora ingenuo e inconsapevole di quello che agiva e che sarebbe successo, alle prese con le proprie inquietudini, curiosità, passioni, timidezze, frustrazioni, ma mai incline ad una remissiva e accondiscendente sottomissione, e il Vittorio adulto, il narratore che commenta il passato con gli occhi del poi, con tono critico, mai sterilmente nostalgico, mai pateticamente sdolcinato, mai vigliaccamente ripiegato nella esclusiva roccaforte della memoria, sebbene doloroso testimone di un presente che non lascia intravedere quegli stessi spiragli di azzurro sopra le cappe asfissianti di nubi che, per i corsi e i ricorsi storici, pur con altri nomi, ingombrano sempre i cieli di ogni epoca. 

       Il Vittorio del passato vince per essere stato protagonista di rinnovamento, il Vittorio del presente vince per la capacità di analisi storica che regala ai lettori contemporanei attraverso la rilettura della propria esperienza.

      Qual è l'acqua in cui si riconosceranno i giovani di oggi che non hanno mai bevuto l'Idrolitina? Forse un'acqua non liscia né frizzante, come l'acqua Lete, che curiosamente ricorda il fiume Lete, quello dell'oblio...

     Per fortuna, come afferma Hannah Arendt: “I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E perciò nulla può mai essere praticamente inutile, almeno non a lunga scadenza”. Baronti con il suo libro ne è un valido esempio. 

Eugenio Baronti. Noi ragazzi dell'idolitrina. Carmignani editore.

Nessun commento: