di Marigabri
“L’arte di scriver storie sta nel saper tirar fuori da quel nulla che si è
capito della vita tutto il resto; ma finita la pagina si riprende la vita e ci
s’accorge che quel che si sapeva è proprio nulla.” (Italo Calvino)
Intenso, essenziale e esaustivo, lucido e rispettoso è questo
ritratto-omaggio di Italo Calvino, scritto con raffinata densità da un allievo,
un collaboratore, e infine un amico come fu Ernesto Ferrero che, ironia della
sorte, conclude la sua parabola letteraria e umana proprio con questo libro.
A leggere l’ultimo capitolo, quello sulla morte improvvisa di Italo, sale
agli occhi un fiotto di commozione e si capisce che è stata spremuta e
distillata con cura dal meraviglioso viaggio di tutte le pagine precedenti. Si
capisce che in quella emozione è frammisto anche il compianto per la perdita di
un intellettuale acuto come Ernesto Ferrero.
Non si tratta di una vera e propria biografia di Calvino, come quella,
monumentale, che gli ha dedicato Domenico Scarpa, ma di un excursus a tappe,
dall’infanzia alla maturità, dove appaiono gli snodi fondamentali che hanno
formato l’avventura intellettuale e umana di uno scrittore sui generis:
silenzioso, schivo, sempre un poco eccentrico nello sguardo verso le cose del
mondo, teso a trasformare in narrativa una molteplicità di visioni in divenire.
Ma anche di offrire una scrittura forgiata dalle esperienze di viaggio, dalle
riflessioni sulla società e sulla politica, dalle meditazioni sulla
letteratura, offrendo di ogni aspetto della realtà una lettura unica e
originale.
Sempre più Italo reagisce alla consapevolezza del disordine intrinseco
dell’universo con gli strumenti dell’esattezza, della precisione, della
descrizione meticolosa e stupefacente (perché descrivere è combattere con il
linguaggio per entrare nell’essenza della cosa, mostrarla agli occhi di chi
legge come se fosse la prima volta e soprattutto lasciare l’io fuori dal
discorso). Infatti:
“L’unica barriera che si può opporre al disordine dell’entropia è l’ordine
della scrittura, la moralità del fare bene quello che si fa.”
Parola e azione, dunque. Entrambe oggetto di un’etica rigorosa. Entrambe a
fondamento dell’essere e sentirsi umani.
La ricerca di questo ordine, di una sorta di geometria cosmica segreta e
necessaria, impegnerà Calvino dalle Cosmicomiche in poi, fino ad arrivare all’
osservatorio astrofisico e antropologico del signor Palomar.
Ma la parabola intellettuale di Italo è varia ed eclettica e non si può
certo riassumere in poche righe. Ferrero sa farlo benissimo, invece, in un
libro di appena duecento pagine che ci restituisce l’uomo e lo studioso Calvino
in tutta la sua seducente stranezza, pur lasciandone intatto il mistero.
La sua personalità multitasking e il suo carattere riservato possiamo conoscerli,
per quel che si può, avventurandoci in questo intrepido viaggio narrativo per
arrivare infine a contatto con l’essenza: quel suo essere eterno viaggiatore,
esploratore del mondo dentro e fuori, e tuttavia capace di rimanere fino alla
fine “un bambino buono” che ha mantenuto intatto uno spirito di scoperta e di
meraviglia e, sbalorditivo miracolo, è riuscito a trasmetterlo alle sue
lettrici e ai suoi lettori.
Ernesto Ferrero. Italo. Einaudi.
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