12 febbraio 2024

" Una strada senza nome" di James Baldwin

 

di Giulietta Isola

“Era strano ritrovarsi ad ascoltare, in un’altra lingua, in un altro paese, la solita vecchia storia e sentirsi condannare allo stesso modo”

        James Baldwin ha speso la sua vita per la letteratura, il teatro, il cinema e la lotta per i diritti degli omosessuali e degli afroamericani. Da Harlem, a Parigi, al Sud degli Stati Uniti, la sua voce è stata capace di restituire, nella sua complicata veridicità, un periodo ricco di sfaccettature come gli anni della desegregazione razziale. Una strada senza nome è una profonda riflessione sull’America e sul razzismo attraverso le esperienze e gli incontri dell’autore. Un racconto di sconcertante attualità per comprendere quello che continua a rimanere uno dei mali più difficili da sradicare del nostro tempo. In questo percorso non lineare, fatto di balzi geografici e temporali , il ruolo di Baldwin cambia da narratore, protagonista, testimone a pensatore, scivola da una posizione all’altra senza strappi e incoerenze. Il suo sguardo e la sua voce assumono diverse prospettive nella scrittura come nella vita. 

       L’inizio, come fosse una classica autobiografia, ci racconta la difficile infanzia ad Harlem, ma basta poco per accorgersi che siamo di fronte a molto di più. L’identità, dice Baldwin, «sembra discendere dal modo in cui una persona affronta e utilizza le proprie esperienze», ma è anche il prodotto delle interazioni, perché queste esperienze hanno luogo nel mondo e avvengono, quasi sempre, con o attraverso gli altri.  L’esperienza raccontata e analizzata è quella della blackness, cioè essere una persona nera nell’America bianca e razzista. Un apprendistato che comincia già dall’infanzia e che può condurre molto facilmente al carcere o all’obitorio. 

       Baldwin è stato ,in qualche modo, una felice eccezione : ha avuto successo nella scrittura, tenuto conferenze, ha vantato amicizie importanti, ma un nero che “ce l’ha fatta” non può dimenticarsi i dei fratelli e delle sorelle che lottano tutti i giorni per la sopravvivenza, annaspando tra le ingiurie e la miseria. Baldwin in quegli anni 50 nei quali il maccartismo rendeva gli Stati Uniti un posto sempre più asfissiante e inospitale, si rifugia a Parigi dove scopre che il razzismo è assai di moda. 

        Quando l’America ribolle di manifestazioni per i diritti civili , Baldwin non può stare a guardare e nel 1957 fa ritorno prima a New York e poi verso gli Stati del Sud, dove in quegli anni una persona nera correva seri rischi. «Prima di andare al Sud, dubito di aver saputo davvero cosa fosse il terrore». Gli uomini e le donne del Sud che Baldwin incontra sono assolutamente ammirevoli nei loro gesti di quotidiano eroismo, nell’affermazione ostinata della propria presenza nonostante la paura, le loro storie sono una parte fondamentale del libro che Baldwin intreccia con le sue riflessioni sul potere e sulla violenza, sull’ingiustizia e sugli ostacoli verso la libertà. 

       La lucidità e, purtroppo, l’attualità delle sue considerazioni , puntano il dito contro una società pronta a tollerare l’ingiustificabile spaventata dal cambiamento. Il privilegio dei bianchi e la negazione (fino alla dissoluzione) dell’esistenza nera fanno ancora parte del nostro triste presente. In America così come in altri luoghi del mondo. «Non ci sono prospettive chiare: la strada che sembra portare avanti nel futuro sta anche tornando indietro nel passato». 

       Mi piacerebbe sapere cosa penserebbe oggi Baldwin dei movimenti per i diritti civili, tuttora terreno di scontro, non lo so, ma cerco di utilizzare la sua visione lucida per interpretare la nostra realtà e per non ridurre i diritti civili a cartastraccia, dobbiamo difenderli assumendoci in prima persona la responsabilità, possiamo almeno provarci. La conoscenza è già una prima forma d’azione.

UNA STRADA SENZA NOME di JAMES BALDWIN FANDANGO

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