di Gianni Quilici
Vedendo questa
foto di Eugene Smith mi sono chiesto:
“Perché è una
grande foto, una di quelle foto che potrebbero rientrare in una galleria
antologica sulle più grandi foto del ‘900?”
Immediatamente ho
pensato per la qualità espressiva del dolore umano con cui esso viene
rappresentato. Dico qualità più ancora che profondità, perché colpisce la
dignità, la semplicità che nasce dal rapporto fra l’uomo morto e le donne che
gli fanno corona. Ed è un dolore che vive nei volti delle donne raccolte in una
veglia funebre verso l’uomo disteso, il
volto statuario che conserva tuttavia un’espressione in bilico tra
l’esserci-non esserci, come se forse dormisse, gli occhi chiusi, la bocca
stretta, le lunghe mani incrociate.
Ed è un dolore
–quello delle donne- oltre che dignitoso, differenziato. Un dolore chiuso e
concentrato dentro di sé, dove spiccano tre volti: la donna con la testa
poggiata sul braccio che questo dolore sembra drammaticamente guardarlo, la
donna in alto fuori-dentro da questa sorta di cerchio raccolto, con lo sguardo
che corre dritto sul volto dell’uomo; e infine, al centro e centrale, il biancore
grazioso e indefinibile, come se ad
altro pensasse, del volto della donna più giovane.
Ma c’è, evidente,
un altro elemento, che da formale diventa fortemente espressivo: il rapporto cromatico
tra bianco e nero. L’atmosfera buia della stanza, i vestiti e il velo con il
copricapo neri mettono in evidenza, scolpiscono i volti e, in certi casi, le
mani delle donne e dell’uomo morto, tanto da risultare ad uno sguardo insistito
quasi astratti.
E’ una fotografia comunque
realistica, dove la realtà si sposa, in qualche misura, con la grande pittura.
Ogni elemento sembra al suo posto, perfetto, come se fosse pensato, immaginato
e “lavorato” e non colto in un attimo, in uno scatto.
Eugene Smith. The
Wake, da Spanish Village. 1951.
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