di Riccardo Dalle Luche
Al teatro On\Off
di via mac Mahon a Milano è andata in scena per una settimana una libera
trasposizione del testo letterariamente più ambizioso e creativo di
J.G.Ballard, cioè la raccolta di sardonici miniracconti surrealisti
tardomoderni, ma profeticamente post-moderni, parzialmente articolati tra di
loro, popolati di cifrati indizi autobiografici e di una serie infinita di
osservazioni sociologiche ed estetiche mai banali, uscita col titolo di "The atrocity exhibition".
Secondo la poetica
dell'Inner Space, corrente fondata da
Ballard nel fermento avanguardistico anglosassone anni '60, nella mente di un
molteplice personaggio maschile,
Traven/Travis/Trabert/Talbot/Tallis,
attorniato da molteplici quando anonime figure femminili (Signora Travis,
Catherine Austen, Karen Novotny etc.), le immagini filtrate dai media dei
principali avvenimenti della storia americana e non solo dagli anni '40 alla
fine dei '60 (dal lancio delle bombe atomiche all'assassinio dei Kennedy,
passando per i campi di concentramento, il Vietnam, le morti automobilistiche
di Jayne Mansfield e James Dean e la morte "morbida" di Marilyn Monroe)
si mescolano agli avvenimenti privati nel contesto di un non ben definito ospedale
neuropsichiatrico.
Come scrisse
magistralmente Antonio Caronia, che a suo tempo ha mirabilmente curato
l'edizione italiana del testo ballardiano, ed a cui la compagnia dedica un
ricordo affettuoso facendogli citare in video una frase della presentazione di
Burroughs, "questa scrittura (...) pare un nastro di Moebius e ci fa
passare dalla psiche alla storia senza che ci accorgiamo di aver cambiato
faccia della superficie".
Si tratta, in
fondo, dell'assunto base di ogni letteratura surrealista, cui qui si aggiungono
sfumature joyciane per il prevalere nel testo “automatico” degli aspetti sensopercettivi
immediati, soprattutto visivi, con i loro problematici riflessi nella dimensione
emotiva e affettiva del protagonista. "The
atrocity exhibition", come molta altra produzione
"pseudofantascientifica" di Ballard, è un testo profetico sotto molti
aspetti e, con lo sguardo di oggi, si può dire che la mente di Tra ven/Travis/Trabert/Talbot
anticipa quella che è divenuta la mente connessa perennemente al web di molti di
noi e, soprattutto, quella dei nostri figli, prima generazione
fenotipicamente
pura della mutazione neurale cui ripetutamente ha alluso decenni addietro lo
scrittore inglese.
Se il cinema, per
il suo potere di ricreare universi plurisensoriali nei quali si fondono i mondi
interiori ed esteriori (anzi a ben vedere nel cinema questo accade sempre, perchè
è parte integrante dell'esperienza della visione), ha potuto affrontare più
volte
con un discreto
successo i testi ballardiani (la prima volta con l'algido e plumbeo capolavoro
del canadese Cronenberg, "Crash"), e lo stesso "The atrocity exhibition" è stato trasposto nel 2001 dall'americano
Jonathan Weiss, l'impresa di trasportarlo sulle tavole di un palcoscenico ha richiesto
notevoli dosi di coraggio e creatività, se non di incoscienza.
L'impianto scenico
scelto da Giuseppe Isgro' con la collaborazione di Francesca Marianna e di
Antonio Caronia, nell'ultimo periodo della sua vita, prevede due corpi-voci
attoriali, i bravissimi Andrea Berrettoni e Francesca Frigoli (a quest'ultima
va una particolare menzione per la straordinaria presenza scenica),
accompagnati da una ininterrotta, stridente colonna sonora che riecheggia
quella di Howard Shore per Crash
(chitarre suonate
a mano e ad arco da una magica Alessandra Novaga), sotto luci quasi
perennemente rosse e con uno schermo su cui scorrono, a mo' di basso continuo,
nebulose immagini perlopiù pornografiche.
Gli attori
recitano alle lettera frammenti di "The atrocity...", senza fare alcuna distinzione tra la
narrazione e le note aggiunte da Ballard nell'edizione americana del '90.
Queste ultime, necessarie per rendere comprensibili molti riferimenti, spesso
misteriosamente seppelliti nella storia americana degli anni quaranta-sessanta
e nelle vicende personali di Ballard, trasformano il libro in una parodia
scientifica, una forma peraltro già evidente nel testo base per l'uso continuo,
come guida concettuale, di termini anatomo-fisiologici e
"neuroscientifici", come si direbbe oggi. Le vicende narrate dai
frammenti titolati che compongono i vari capitoli sembrano del resto ambientate
in un misterioso ambiente medico-psichiatrico nel quale le prime atrocità
esposte sono i dipinti dei pazienti, e nel quale imperversano infermiere e
medici, soprattutto lo psichiatra Dr.Nathan. Bisogna ricordare che Ballard è
stato studente di medicina, prima di optare per la letteratura.
Nella sua scelta
dei testi Isgro' predilige i principali passi legati al celebre assunto
ballardiano che "la scienza è l'ultimo stadio della pornografia,
un'attività analitica il cui scopo principale è quello di isolare gli oggetti o
gli eventi dal loro contesto spaziale e temporale".
In questo senso
l'ampio uso della pornografia si fa metafora di un modo di essere dell'uomo
post-moderno, scomposto nella sua identità non solo dalla molteplicità ma anche
dalla frammentazione degli elementi costitutivi del proprio corpo sessuato. I
due attori sono così costretti ad un lavoro sul proprio stesso corpo,
disarticolato, straniato, ridotto a marionetta meccanica, in ogni caso autonomo
rispetto alla globalita' della esperienza soggettiva, che in Ballard non si
identifica con quella "interiore".
Sul palcoscenico
come nel testo il centro dello spettacolo è l’elencazione delle componenti del
"kit del sesso" nominato Karen Novotny, costruito da Talbert, come
surrogato di corpo femminile ricomponibile a piacimento per svolgere ogni sorta
di immaginario atto sessuale con donne feticizzate e ricomponibili a piacimento:
"1) batuffolo di pelo pubico 2) una maschera da viso di latex 3) sei
bocche staccabili 4) un insieme di sorrisi 5) una coppia di seni, col capezzolo
sinistro segnato da una piccola ulcera (...)" . (Sarebbe interessante oggi
riscrivere l’elenco in versione femminile!)
Restano invece
sullo sfondo altre ossessioni degli universi ballardiani, come quelle dei corpi
frantumati negli incidenti stradali e quelli martorizzati dagli eventi bellici,
la rivisitazione ossessiva dell'omicidio di J.F. Kennedy e, soprattutto, non
emerge bene dalla messa in scena, il nesso profondo che questo mondo frantumato
dalle distruzioni, dalle oscenità e dai processi mediatici di iconizzazione
delle celebrità morte precocemente in modo violento, produce nelle menti dei
malati che come un coro circondano Traven... e sulla mente di Traven stesso:
quel nesso benefico postulato da Ballard tra l'immaginazione di una sessualità
non convenzionale, attivata dagli eventi traumatici, dagli spazi
architettonici, dagli apparati feticistici, e la "morte dell'affetto, la
scomparsa della sensibilità". "Travers, per esempio, " -
commenta con la solita lucidità il dr. Nathan- "ha creato tutta una serie
di nuove deviazioni sessuali di carattere completamente concettuale, proprio
per tentare di superare questa morte dell'affetto. Per certi versi lui è il
primo dei nuovi naif, il doganiere Rousseau delle perversioni sessuali."
Se qualcosa si può
rimproverare a questa temeraria e virtuosistica trasposizione teatrale è quindi
la rinuncia alla dialettica tra creatività letteraria e scientifico- rimuginativa
di Ballard, che dà forma al suo immaginario impedendogli, come talora avviene
in
scena, di perdersi
in un caos puramente enunciativo e declamativo.
Ma si tratta forse solo della percezione
soggettiva di chi scrive, che di professione fa il medico, e, come il dr.
Nathan del testo, ha sempre la necessita' di essere rassicurato da modelli
razionali e interpretativi.
Note per un collasso mentale
Una partitura per voci, corpi, chitarra,
live electronics e altro
liberamente ispirato all'opera di
J.G.Ballard
Phoebe Zeitgeist Teatro
Regia, drammaturgia, luci, scena Giuseppe
Isgro'
con Andrea Berrettoni (voce, corpo,
organetto)
Francesca Frigoli (voce, corpo, flauto
traverso)
Alessandra Novaga (chitarre
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