di Gianni Quilici
Ne Il tunnel del grande scrittore argentino Ernesto Sabato (Sopra eroi e tombe) c’è
la radiografia di un’ossessione: l’amore di Juan Pablo, un pittore famoso per una ragazza, donna che è riuscita a comprendere il significato nascosto di un suo quadro. Amore, che, non trovando limiti, ha bisogno continuamente di conferme, senza
poter avere sicurezze assolute, in quanto le conferme possono essere ipocrite,
trovando il protagonista nell’immaginazione ogni possibile traccia di tradimento, ogni
possibile colpa. La donna amata è quindi –in quanto libertà- possibile
tradimento.
Non c’è salvezza
psichica, quindi, per il pittore, che narra in prima persona, né il suicidio
può essere una soluzione, perché esso è “gettarsi in grembo al nulla assoluto
ed eterno”.
Questa ossessione
non è lineare, ma è il risultato di un paranoico colloquio del pittore con se
stesso, in cui rimugina a fondo i fatti, li esamina a lungo da differenti punti
di vista. A volte è autocritico: riconosce che sta esagerando, che la sua è
soltanto un’immaginazione morbosa, che ha le sue responsabilità e colpe o che,
comunque, senza di lei la vita non avrebbe senso.
Racconta:
“Per un secondo, lo spavento di dover
distruggere quel che rimaneva del nostro amore e di rimanere definitivamente
solo mi fece vacillare. Pensai che forse era possibile gettar da parte tutti i
dubbi che mi torturavano. Che m’importava quel che fosse Maria al di là di noi
stesi? Vedendo quelle panchine, quegli alberi, pensai che mai avrei potuto
rassegnarmi a perdere il suo appoggio, non fosse che durante quegli istanti di
comunione, di misterioso amore che ci univano. A misura che avanzavo in queste
riflessioni andavo abituandomi all’idea di accettare il suo amore così, senza
condizioni; e sempre più mi terrorizzava l’idea di rimanere senza nulla,
assolutamente nulla(….) Alla fine cominciò a possedermi una gioia straripante,
nel rendermi conto che nulla era perduto e che da quell’istante di lucidità
poteva cominciare una nuova vita”.
Salvo poi, ogni
volta, ricadere nelle sue tormentate e angosciose fissazioni sulla base di
indizi puramente ipotetici, fino a precipitare in quello che il protagonista
definisce “tunnel”. Il tunnel in cui va a finire Jaun Pablo, Ernesto Sabato ce
lo fa conoscere, da subito, attraverso le parole dello stesso pittore,
nell’incipit:
“Basterà dire che sono Juan Pablo Castel, il
pittore che uccise Maria Iribarne: suppongo che tutti ricordino il processo, e
che non occorrano maggiori spiegazioni sulla mia persona”.
Un delitto, viene
da pensare, che è rivolto anche verso se stesso nel bisogno
Non è quindi un
giallo, ma del giallo ha la tensione emotiva nella concatenazione di un delirio
complesso tra follia e, a suo modo, razionalità, che è la grandezza del romanzo sottolineata,
tra l’altro, da grandi scrittori.
Camus: “Ammiro la
sua durezza, la sua intensità”; Thomas Mann: “Un libro impressionante”; Graham
Green: “Ho una grande ammirazione per la magnificenza della sua analisi psicologica”.
Ed è un delirio
che diventa sarcasmo feroce nei confronti degli intellettuali, che discutono
senza conoscere il valore ed anche il dolore delle cose. C’è un capitolo
esemplare in questo senso, in cui il pittore si trova, suo malgrado, in una di
quelle conversazioni intellettualistiche fitte di falso sapere e di inconsapevole
presunzione, tra il cugino di Maria, che lui sospetta essere di lei l’amante, e
la magra, così la definisce, “che
fumava con un lunghissimo bocchino. Aveva un accento parigino, era maligna e
miope”.
Il tunnel. Ernesto Sabato. Feltrinelli.
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