13 settembre 2022

"Occhiatina a San Pietro e altre fughe “di Enzo Guidi

 

di Elisa Bertoni

       Occhiatina a San Pietro e altre fughe è una raccolta di trenta racconti che colpiscono per l'estro creativo e la fecondità verbale con cui Enzo Guidi gioca con la lingua. 

       Leggere i suoi racconti è come entrare in un fantasmagorico teatro “che ha il languore/ di un circo/prima o dopo lo spettacolo”, per usare le parole di Ungaretti nella poesia I fiumi. A volte sono i personaggi ad imprimersi nella mente del lettore come maschere caricaturali che paiono uscire dalla pagina. 

        E' il caso di Rubino e Frankie del primo racconto, il più lungo ed articolato della serie che dà il titolo alla raccolta. Essi sono tratteggiati con maestria dall'autore tanto che al termine della storia si vorrebbe che le loro avventure continuassero. Appaiono clown un po' svampiti e strampalati, ma nello stesso tempo sognatori determinati, pronti ad affrontare viaggi con mete irreali alla Sussi e Biribissi, degni di Rabelais per le pantagrueliche abbuffate finite in un ben poco edificante ed inarrestabile vomito nel sacro tempio della cristianità a San Pietro. Questa comicità plautina non si esaurisce tuttavia in una grassa risata condita di frivola spensieratezza, perché il clown non esita a trasformarsi in un Pierrot con la lacrima disegnata sul volto nella chiusa elegiaca del racconto.

      Altre volte si entra nella stanza con gli specchi deformanti della memoria, per cui il baccalà lesso può acquistare lo sgradevole sapore di carne di cobra, oppure la deformazione può avvenire nella naturalezza con cui si presenta al lettore un evento tutt'altro che comune: “una mattina io e mio padre decidemmo di portare mia madre dall'esorcista”. 

        C'è poi la stanza dell'illusione per cui una fontana, da simbolo di una attesa concretizzatasi finalmente in esperienza straordinaria, svanisce dando la netta sensazione di non esserci mai stata. 

       Ci imbattiamo infine nella stanza della trasformazione in animale, così cara alla letteratura, da Apuleio a Collodi e Kafka, solo per citare alcuni autori rappresentativi. Nel racconto Licteratu alla Coop, Licteratu, amico scrittore dell'io narrante, ma nello stesso tempo suo chiaro doppio per il “fanatismo istintuale per la scrittura”, “gemello oscuro, ossessivo e importuno eppure così necessario a completare i miei momenti di sconforto” diventa all'improvviso un pipistrello dalla natura ben diversa rispetto al più noto Dracula-Nosferatu. “Licteratu è davvero un pipistrello solare: più ilare che macabro, un pipistrello mediterraneo all'ora del giornale radio e dell'abbronzatura...al tempo del bagno in mare e della caprese. Ilare come il pipistrello del proverbio: mezzo topo e mezzo uccello”.

        Il racconto centra alcuni aspetti fondanti della scrittura di Guidi: innanzitutto la gustosa comicità nel dissacrare i momenti di rito della cultura nazional-popolare. Non secondaria è poi la riflessione sul ruolo dello scrittore. Così come l'alcione di Baudelaire era specchio del poeta, il pipistrello solare diviene simbolo dello scrittore, mezzo topo e mezzo uccello dotato di una doppia natura che lo porta in volo nel cielo, ma col bisogno di squittire sulla terra, apparentemente disadattato all'uno e all'altra, eppure perfettamente integrato nel suo disadattamento, mentre sta per terminare il suo romanzo fra “sibili di metallo fuso e aspri miasmi autobiografici” come una sorta di futurista romantico che si nega quando si afferma. 

         Centrale in questo teatro di racconti sono proprio le parole stesse, che diventano funambolici equilibristi o spericolati trapezisti come aerei che volteggiano nei cieli e possono di colpo precipitare sulla terra. Il flusso di coscienza ben riconoscibile in Blia diviene una sorta di narrativo blob, originato da uno zapping sulle esperienze di vita, che unisce la scelta al caso creando spettacolo. Lo afferma Guidi stesso: “ci sono già state cose così che accadono come parole”. La parola da essere emissione di suono portatrice di significato diventa accadimento, fatto, mentre le cose paiono svaporare in parole. 

       Il binomio cosa-parola diviene così inscindibile in Guidi, dal momento che non c'è parola che non sia cosa e cosa che non sia parola. Non stupisce quindi che i giochi di parole, come quello tra “importanza” e “portanza” nel racconto Festa dell'aria, abbiano la sinistra magia di interagire con la realtà, facendo collassare un aereo. E così pure in Pesce i pesci avevano “pescato” il protagonista ad esagerare, per il fatto che aveva osato pronunciare due parole inutili (guepière e interfaccia), costringendolo a fargli vivere il contrappasso della loro punizione, in un tragicomico dominio ittico sulla presunzione umana: “i pesci che dominavano il mondo col loro sguardo vitreo e allarmante, col loro silenzio sapiente, misterioso e leggero, ora lo condannavano a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, perché lo avevano pescato per l'ennesima volta a fare due parole”. Parole che diventano anche patetico bisogno di pedagogizzare risolvendosi di fatto in incomunicabilità: “Si fermò per essere ascoltato e, mentre parlava, con la punta del piede cominciò a tracciare nella ghiaia bagnata quelle poche linee. Voleva spiegare in modo semplice e cristallino l'ineludibile, l'ineffabile fatalità del limite”. Con le movenze di un neo-Cristo, profeta del nichilismo, il protagonista di Aloigi incorre in una scontata sconfitta perché il bisogno di esprimere l'ineffabile lo rende inascoltato e inascoltabile. Vincere il limite con la parola che è costruita con il limite sonoro o grafico della sua stessa natura è un paradosso che rende i personaggi come donchisciotte imprigionati nella costante “attesa dell'inestimabile, della superiore specialità, della visione più grande e terribile”. La parola e la scrittura restano tuttavia salvezza, in quanto riescono a dare sfogo al rovello dei pensieri che si aggrumano impietosi nella mente dei protagonisti: “E così camminare è quasi un voler fronteggiare il pensiero... canticchiare il proprio rovello in una tiritera lenitiva che regola sordamente passo e respiro, mentre scorrono vicino gli impercettibili pericoli della città torva e repressa, in quel nulla che accade intorno sempre allo stesso modo poco rassicurante”. 

      E parte di una cura è anche la “logorrea nel vuoto” praticata da Bavetto, nell'omonimo racconto: pronunciare il suo nome veniva percepito come “parola-larva alla guida di altre larve di parole”. Bavetto riusciva a curare la paura della vita e della morte con un terrore ancora più grande, quello del silenzio. Per questo il suo trattamento consisteva “nel far parlare le persone fino all'esaurimento” mentre lui rimaneva sempre in silenzio. La sensazione era quella di trovarsi “in caduta libera nella vacuità insopportabile del nulla”. La parola rassicura temporaneamente dalla paura dell'esistenza ma per paradosso sarebbe l'assenza di parola ad essere risolutiva.

       La spettacolarizzazione della sua scrittura si ottiene dunque in molteplici modi, grazie a personaggi caricaturali e a deformazioni della memoria, ad un uso dirompente e vitale delle parole, fino ad una comicità che nasce spontanea nello sguardo ironico e sornione con cui si osserva la realtà ed i suoi costumi: “l'inferno è un caseggiato urbano di prossima demolizione. Occhiaie vuote di finestre, infissi sdruciti su un involucro cadente al fondo di una piazza. Dentro inaspettatamente il centro estetico “Paradiso Fitness” modernissimo ed elegante”. In questa satira dissacrante della modernità non è strano scoprirvi un Dante fruitore della palestra che gioca a palla in modo coatto, trovando lì un suo spietato contrappasso rispetto alla sacralità del suo nome e del suo ispirato viaggio della Commedia. 

       Guidi sa cogliere nella realtà quel contrasto paradossale che la rende risibile, come nel racconto Durren...matt?, in cui l'ilarità da nano boschereccio di un personaggio svizzero, incontrato per caso dal protagonista, crea stupefazione perché nessuno avrebbe potuto crederla in sintonia con l'“austera fama letteraria” di Ignazio Silone, di cui dichiara di essere molto amico.

        Non stupisce dunque quello che si legge nel racconto Graffito di Udo: “Nonostante il dramma, lo spettacolo continuava”. Se la morte di Tenco non fermò il festival di Sanremo, niente, nemmeno l'assurdità della vita, potrà fermare la scrittura-spettacolo di Guidi capace di creare racconti che con la carica eversiva di un sagace umorismo, con l'uso sapiente e funambolico delle parole hanno il potere di interrompere la percezione di insensatezza che è l'esistere. L'importante, come si legge In cella, è “scrivere tutto”. La ricerca di una narrativa è un imperativo irrinunciabile per l'autore: “scrivere tutto”, una follia necessaria alla vita, una prigione che libera.

Enzo Guidi. Occhiatina a San Pietro e altre fughe. Maria Pacini Fazzi.Euro 15




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