Monte Voltraio |
... C'è un'altra cosa che ho imparato da Carlo: ad amare Volterra senza retorica, senza ridicole dichiarazioni di orgoglio (nascere in un luogo non è mai merito nostro, ma di chi ci ha concepito). Amarla avendola capita, letta come un libro raro, e quindi considerata, valutata, rispettata. Amarla sentendosi dentro i suoi modi di essere, la sua storia, abitandone la "lingua", i modi di dire, l'aneddotica, cogliendone le peculiarità.
Una Volterra quindi diversa a seconda della sensibilità, cultura, amore. Una Volterra per ogni volterrano. La mia è il colle di San Martino, il Poggio alla Rocca (monte Voltraio), i borghi della periferia, la campagna primaverile, dai verdi pastello, smaltati, lucidi e quella estiva assolata, bruciata, fattasi mobilissima quando le lucciole, imitando la volta del cielo notturna, bucano il buio con i loro respiri di luce.
In ogni fase della mia vita, da quando ho dovuto (per le occasioni che mi hanno scelto) vivere altrove, mi hanno sempre visitato i ricordi e con essi i volti degli amici, dei miei cari così come li ho visti in quella che considero la mia età più bella, quella della fanciullezza, delle scuole elementari, del mio slalomare tra le strade di borgo Sant'Alessandro, oltre le peschiere del Pino, verso i cappuccini o dello zigzagare attraverso i poderi che, passando dalle "corte", si trovavano sulla strada, disegnata in funzione del terreno, che va verso la Bacchettona.
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