foto di Gianni Quilici |
Marinella
Lazzarini era un’amica.
Un’amica più
pubblica che privata.
Ci si vedeva
soprattutto nei cortei, nei momenti di discussione all’interno dei vari
movimenti che hanno attraversato Lucca dalla fine degli anni ’60 ad oggi. Ci
siamo frequentati molto in “Luna Nuova”, forse il più significativo giornale
che la sinistra abbia realizzato a Lucca. E ci siamo incontrati per caso, nelle
vie e nelle piazze della città, abbiamo
parlato di Mozart e di letteratura, del comunismo e di adolescenza, di scuola e
del dover essere.
Marinella ha
lasciato una traccia profonda nei molti che l’hanno conosciuta.
Perché?
Primo: stava dalla
parte degli umili, degli offesi, dei più deboli e da lì valutava il mondo.
Perché aveva un fortissimo senso della giustizia. Era visceralmente contro ogni
forma di violenza, di sopraffazione, di ineguaglianza. Da lì la sua presenza, a
partire dal ’68, nel movimento studentesco e operaio, nel movimento delle donne
( credo sia stata la “femminista” per antonomasia a Lucca), nel movimento
pacifista e per i diritti, nelle manifestazioni in difesa della Costituzione e
della democrazia.
Secondo: questo
senso della giustizia era legato ad un desiderio fortissimo di libertà personale
e collettiva. Ricordo una delle ultime volte in cui l’ho incontrata, un
dibattito sul ’68, ai miei occhi un’occasione mancata, in cui mi piacque molto
la sua testimonianza. Raccontò il suo rapporto con il ’68 come rivolta anche
verso la famiglia; una famiglia, che tuttavia adorava e ha continuato ad
adorare, Nella Rugani, la mamma, Marino
Lazzarini, il padre, che tanto bene hanno “seminato” per la società lucchese.
Terzo: questa
scelta di libertà la esprimeva anche con un senso teatrale della vita. La vita per
Marinella era incontro, espansione di sé
con gli altri, possibilmente gioiosa. Stare con lei era piacevole. Sapeva
raccontare e ascoltare, interagire e divertire anche.
Quarto: Marinella
era poi un’intellettuale. Una donna che leggeva, si informava, elaborava, scriveva.
Ha pubblicato un libro importante 2420: Nuska Hoffman” (EDL) in cui
ricostruisce la vita di Nuska, un’ebrea polacca, che era riuscita a
sopravvivere ai campi di concentramento. Ed è nell’esperienza di Luna
Nuova, durata alcuni anni, che ho potuto verificare la radicalità del suo
pensiero insieme ad un’attitudine pedagogica, le capacità espressive e quelle
di suscitare consenso, la responsabilità verso gli impegni che si prendeva
insieme ad una grande generosità, che chi le è stato vicino avrà avuto modo di
vivere più di quanto abbia potuto il sottoscritto.
Infine: c’è poi quello che non ho vissuto con lei. Le
zone più intime, più segrete. Quelle che richiamano il mistero dell’essere e
dell’esistenza.
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