28 ottobre 2014

"1915 – 1945" di Luciano Luciani



Trent’anni travagliati e contraddittori
Le radici della nostra contemporaneità

Nel breve periodo del secolo scorso che va dall’inizio della prima guerra mondiale, quel 1915 di cui ci accingiamo a breve a celebrare il centenario, alla fine della seconda accade tutto e il contrario di tutto: due devastanti conflitti di dimensioni planetarie; crolli di imperi; sviluppo e sfacelo di feroci dittature e crudeli regimi autoritari; durissime crisi economiche… Non è un caso che molti storici contemporanei, ripensando quel segmento di storia recente lo abbiano ribattezzato “la guerra dei trent’anni” del Novecento.

Lo sviluppo industriale affolla le periferie e spopola le campagne. Con lentezza, con fatica, attraverso mille sussulti, si passa dalla ribellione anarchica, ancora sconnessa, illogica, all’organizzazione sindacale e di partito. Le masse scelgono di irreggimentarsi. Se migliorano, comunque, le condizioni di vita delle classi subalterne si restringe, però, l’area dei diritti e si allargano i consumi. Il primo dopoguerra libera le donne: l’emancipazione femminile cresce perché l’industria ha necessità del lavoro delle donne e le donne servono come consumatrici.

Oh, la felicità!
La felicità sembra divenire un dovere e la si identifica soprattutto con la comunione amorosa che si trasforma facilmente in desiderio, eccitazione, sensualità. E all’erotismo riportano tanto lo slow, il ballo lento, languido tutto giocato nell’esiguo spazio di un mattone, quanto le intemperanti sfrenatezze del charleston, danza di derivazione jazzistica, dal ritmo mosso, gaio, vivace.

Le icone della bellezza femminile si chiamano Greta Garbo, ascetica, ambigua, romantica, oppure donne che rappresentano un esplicito richiamo sessuale: Jean Harlow, la bionda platinata che dà corpo al sogno maschile del ‘ghiaccio bollente’; Marlene Dietrich, l’immagine della donna dominatrice e regina dell’amore fisico; Mae West, sensuale, dalle forme fiorenti e flessuose.

Anche i modelli maschili subiscono un’evoluzione che va di pari passo con le trasformazioni della società. Non più gli eroi dissipati portati sullo schermo da Rodolfo Valentino o gli eleganti, stanchi vitaioli interpretati da Adolphe Menjou: piuttosto gli uomini venuti su dal nulla e rudi ingegneri dai lineamenti tagliati con l’accetta come quelli del giovane Spencer Tracy.

Ballando, ballando
Tra gli anni Venti e i Quaranta il mondo cambia e profondamente. Ce lo testimoniano anche le piccole cose, le modeste abitudini quotidiane che entrano però nel concreto della vita della gente. Per esempio, sempre per rimanere nell’ambito del ballo non si può non notare che l’ebbrezza travolgente e un po’ affannata del charleston viene sostituita da ritmi sempre più sincopati: l’esotica rumba sudamericana; oppure lo swing, ovvero il ‘dondolio’, suggerito da una tensione ritmica, dal gioco delle accentuazioni, degli anticipi e dei ritardi che ha come maestro indiscusso Luis Armstrong e New Orleans come luogo d’elezione.

La moda ricerca l’evasione, la stranezza: le giacche maschili rinunciano al bavero e le donne vestono giacche a sacchetto, con spalle ampie e imbottite, enfatizzando a dismisura il gioco delle scarpe ortopediche, altissime e instabili.

La radio, insieme al cinema la grande passione degli italiani degli anni Trenta, porta nelle case di un milione e mezzo di famiglie canzonette come “Non ti scordar di me”, 1935; “Reginella campagnola”, 1938; “Maramao… Perché sei morto”, 1939; “Firenze sogna”, 1939…

Bombe, fame e canzoni
Il 1 settembre 1939 le truppe di Hitler passano il confine con la Polonia. Il 3 settembre l’Inghilterra e la Francia dichiarano guerra alla Germania. L’anno dell’Italia è il 1940: la sua entrata nel calvario di un conflitto che si sarebbe rivelato disastroso risale alla notte tra il 10 e l’11 giugno quando aerei italiani scaricano il primo carico di bombe su Malta. Passeranno cinque anni prima di uscire malconci dall’atroce inganno della guerra e i giovani, ancora una volta, saranno quelli più violati nel loro diritto alla pace e depredati della gioventù se non della vita.
Ed è su uno scenario già guastato dal conflitto e da due dolorose novità, l’incubo dei bombardamenti e la fame, che si collocano due altri grandi successi della canzone di quegli anni: “Mattinata fiorentina”, 1941, e “Ma l’amore no”, 1942.
Ed è proprio quest’ultimo il motivo destinato a diventare la colonna sonora di eventi che segneranno e muteranno nel profondo la storia del nostro Paese: lo sbarco degli Alleati in Sicilia, la caduta del fascismo, l’armistizio, l’8 settembre, la lotta per la riconquista della dignità nazionale sono vicende destinate a rimanere nella memoria dei meno giovani legate alla voce, triste e sensuale, di una giovanissima e bellissima Alida Valli.


“Lilì Marlèn”
 Un’altra canzone percorre tutta l’Europa straziata dalla guerra: è “Lilì Marlèn”, che sola, presso il suo fanale, tra un bombardamento e l’altro, tenta di fermare l’attimo, di cogliere un istante d’amore per reagire, nella maniera più umana che si conosca, alla disperazione per tanto odio e tanto inutile dolore.

Dovrà passare ancora qualche anno prima che alla tristezza di ‘Lili Marlèn’, si sovrapponga il festoso baccano di “Rosamunda”, l’ironica ricerca di Zazà, i ritmi veloci e assillanti del boogiewoogie… La guerra calda è terminata, se ne prepara una nuova, quella fredda: massicci eserciti armati fino ai denti si guarderanno in cagnesco per altri quarant’anni. Per spaventare, spaventarsi, per paura, per farsi paura, cercando così di evitare un’altra guerra. La storia ci ha detto che, in fondo (ma molto in fondo!) questa minaccia ha funzionato. Il mondo e gli uomini, però, non sono certo diventati migliori.


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