Trent’anni travagliati e contraddittori
Le radici della nostra
contemporaneità
Nel breve periodo del secolo scorso che va dall’inizio
della prima guerra mondiale, quel 1915 di cui ci accingiamo a breve a celebrare
il centenario, alla fine della seconda accade tutto e il contrario di tutto:
due devastanti conflitti di dimensioni planetarie; crolli di imperi; sviluppo e
sfacelo di feroci dittature e crudeli regimi autoritari; durissime crisi
economiche… Non è un caso che molti storici contemporanei, ripensando quel
segmento di storia recente lo abbiano ribattezzato “la guerra dei trent’anni”
del Novecento.
Lo sviluppo industriale affolla le periferie e spopola
le campagne. Con lentezza, con fatica, attraverso mille sussulti, si passa
dalla ribellione anarchica, ancora sconnessa, illogica, all’organizzazione
sindacale e di partito. Le masse scelgono di irreggimentarsi. Se migliorano,
comunque, le condizioni di vita delle classi subalterne si restringe, però,
l’area dei diritti e si allargano i consumi. Il primo dopoguerra libera le
donne: l’emancipazione femminile cresce perché l’industria ha necessità del lavoro
delle donne e le donne servono come consumatrici.
Oh, la
felicità!
La felicità sembra divenire un dovere e la si identifica
soprattutto con la comunione amorosa che si trasforma facilmente in desiderio,
eccitazione, sensualità. E all’erotismo riportano tanto lo slow, il ballo lento,
languido tutto giocato nell’esiguo spazio di un mattone, quanto le intemperanti
sfrenatezze del charleston, danza di derivazione jazzistica, dal ritmo mosso,
gaio, vivace.
Le icone della bellezza femminile si chiamano Greta
Garbo, ascetica, ambigua, romantica, oppure donne che rappresentano un esplicito
richiamo sessuale: Jean Harlow, la bionda platinata che dà corpo al sogno
maschile del ‘ghiaccio bollente’; Marlene Dietrich, l’immagine della donna
dominatrice e regina dell’amore fisico; Mae West, sensuale, dalle forme
fiorenti e flessuose.
Anche i modelli maschili subiscono un’evoluzione che
va di pari passo con le trasformazioni della società. Non più gli eroi
dissipati portati sullo schermo da Rodolfo Valentino o gli eleganti, stanchi
vitaioli interpretati da Adolphe Menjou: piuttosto gli uomini venuti su dal
nulla e rudi ingegneri dai lineamenti tagliati con l’accetta come quelli del
giovane Spencer Tracy.
Ballando,
ballando
Tra gli anni Venti e i Quaranta il mondo cambia e
profondamente. Ce lo testimoniano anche le piccole cose, le modeste abitudini
quotidiane che entrano però nel concreto della vita della gente. Per esempio, sempre
per rimanere nell’ambito del ballo non si può non notare che l’ebbrezza
travolgente e un po’ affannata del charleston viene sostituita da ritmi sempre
più sincopati: l’esotica rumba sudamericana; oppure lo swing, ovvero il
‘dondolio’, suggerito da una tensione ritmica, dal gioco delle accentuazioni,
degli anticipi e dei ritardi che ha come maestro indiscusso Luis Armstrong e
New Orleans come luogo d’elezione.
La moda ricerca l’evasione, la stranezza: le giacche
maschili rinunciano al bavero e le donne vestono giacche a sacchetto, con
spalle ampie e imbottite, enfatizzando a dismisura il gioco delle scarpe
ortopediche, altissime e instabili.
La radio, insieme al cinema la grande passione degli
italiani degli anni Trenta, porta nelle case di un milione e mezzo di famiglie
canzonette come “Non ti scordar di me”, 1935; “Reginella campagnola”, 1938; “Maramao…
Perché sei morto”, 1939; “Firenze sogna”, 1939…
Bombe, fame
e canzoni
Il 1 settembre 1939 le truppe di Hitler passano il
confine con la Polonia. Il
3 settembre l’Inghilterra e la
Francia dichiarano guerra alla Germania. L’anno dell’Italia è
il 1940: la sua entrata nel calvario di un conflitto che si sarebbe rivelato
disastroso risale alla notte tra il 10 e l’11 giugno quando aerei italiani
scaricano il primo carico di bombe su Malta. Passeranno cinque anni prima di
uscire malconci dall’atroce inganno della guerra e i giovani, ancora una volta,
saranno quelli più violati nel loro diritto alla pace e depredati della
gioventù se non della vita.
Ed è su uno scenario già guastato dal conflitto e da
due dolorose novità, l’incubo dei bombardamenti e la fame, che si collocano due
altri grandi successi della canzone di quegli anni: “Mattinata fiorentina”,
1941, e “Ma l’amore no”, 1942.
Ed è proprio quest’ultimo il motivo destinato a
diventare la colonna sonora di eventi che segneranno e muteranno nel profondo
la storia del nostro Paese: lo sbarco degli Alleati in Sicilia, la caduta del
fascismo, l’armistizio, l’8 settembre, la lotta per la riconquista della
dignità nazionale sono vicende destinate a rimanere nella memoria dei meno
giovani legate alla voce, triste e sensuale, di una giovanissima e bellissima
Alida Valli.
“Lilì
Marlèn”
Un’altra canzone percorre tutta l’Europa straziata
dalla guerra: è “Lilì Marlèn”, che sola, presso il suo fanale, tra un bombardamento
e l’altro, tenta di fermare l’attimo, di cogliere un istante d’amore per
reagire, nella maniera più umana che si conosca, alla disperazione per tanto
odio e tanto inutile dolore.
Dovrà passare ancora qualche anno prima che alla
tristezza di ‘Lili Marlèn’, si sovrapponga il festoso baccano di “Rosamunda”, l’ironica
ricerca di Zazà, i ritmi veloci e assillanti del boogiewoogie… La guerra calda
è terminata, se ne prepara una nuova, quella fredda: massicci eserciti armati
fino ai denti si guarderanno in cagnesco per altri quarant’anni. Per
spaventare, spaventarsi, per paura, per farsi paura, cercando così di evitare
un’altra guerra. La storia ci ha detto che, in fondo (ma molto in fondo!)
questa minaccia ha funzionato. Il mondo e gli uomini, però, non sono certo
diventati migliori.
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