Un libro che dovrebbero
leggere innanzitutto l’educatore e il politico.
L’educatore,
perché consente di conoscere l’umano, oggi molto più complesso di ieri, perché
molto più insinuante e persuasivo è ciò con cui esso entra in contatto.
Il politico,
perché questo libro traccia una mutazione antropologica, che richiederebbe una
svolta sociale e culturale altrettanto profonda nei meandri in cui una società
si articola.
Umberto Galimberti
ha raccolto articoli pensati per il quotidiano La Repubblica nel 2002, scritti con
un linguaggio limpido e diretto, rivolti ad un pubblico non
specialistico.
Così divide il
libro in due parti: i vizi capitali ( i vizi di sempre, di allora e di oggi) e
i nuovi vizi. I vizi capitali sono 7:
ira, accidia, invidia, superbia, avarizia, gola, lussuria. Altrettanti sono i
nuovi vizi: consumismo, conformismo, spudoratezza, sessomania, sociopatia,
diniego, vuoto. Via via che leggevo pensavo a come si potessero racchiudere questi
nuovi vizi in un filo comune, e a come si potessero cogliere il nesso o i nessi
che legano le varie specificità e di conseguenza quali fossero le novità
rispetto ai vizi di allora.
La risposta è semplice,
perché è indicata dallo stesso Galimberti ed è questa:
“ . . . a differenza dei vizi capitali che
segnalano una deviazione o, a seconda della tolleranza dei tempi, una
caratteristica della personalità, i nuovi vizi ne segnalano il dissolvimento,
che tra l’altro non è neppure avvertito, perché investe indiscriminatamente
tutti”.
Dissolvimento
della personalità. Concetto così sottile che difficilmente un individuo lo fa suo, cioè lo riconosce. Anzi accade
proprio l’inverso. Chi subisce questo
processo è colui che meno di tutti lo sa, perché è colui che è abituato a non
ascoltarsi, a non vedersi, che immagina di essere padrone delle sue parole, dei
suoi pensieri, dei suoi comportamenti.
Il rischio di
dissolvimento della personalità può essere riconosciuto, almeno parzialmente,
da chi questi processi oggettivi li riconosce, ci si confronta e cerca di
combatterli pure.
In ogni caso
questo processo di dissolvimento si attua in modo morbido e suadente con la
piena adesione di chi ne partecipa.
Innanzitutto, come
sottolinea Galimberti, perché non è vizio
personale, ma è a tendenza collettiva, che investe, più o meno, (quasi) tutti.
In secondo luogo,
e soprattutto, perché i nuovi vizi sono accettati in quanto rispondono a bisogni
veri ( di comunicazione e di bellezza, di identità e di sessualità), che però vengono nevrotizzati, producendo quei “vizi”, analizzati
da Galimberti. Alcuni fin troppo rapidi esempi.
C’è un
dissolvimento di identità nella perdita di consistenza di cose, che vengono
continuamente distrutte e sostituite, perché così vuole l’industria, con una
tecnologia che trasforma continuamente gli oggetti stessi, con il concorso ossessivo
della pubblicità.
C’è un
dissolvimento di identità nella perdita della Memoria, in quanto un
sovraccarico di informazione non elaborato riduce e svaluta e cancella il passato anche quello prossimo,
facendo vivere in un eterno presente manipolante.
C’è un
dissolvimento della realtà a beneficio dell’apparenza, con la conseguenza che
diventa più importante l’immagine virtuale che la realtà sostanziale.
C’è un
dissolvimento della sessualità, perché la continua esibizione di essa spegne la
possibilità di scoprire e il sesso diventa crudelmente produttività,
ripetizione, professionismo.
C’è un
dissolvimento di identità, perché ciò che viene richiesto è una buona
esecuzione, non la responsabilità di uno scopo. La conseguenza: una diffusa
omologazione nel considerare questo mondo come l’unico possibile, conservando
tuttavia la convinzione e l’illusione di essere liberi.
C’è un’immaturità
affettiva, un’apatia morale senza rimorsi o sensi di colpa, che porta a volte a
delitti realizzati con freddezza e indifferenza, perché manca un’educazione
psicologica, nella scuola, oltre che nella famiglia, capace di elaborare i
conflitti, di conoscere e controllare i propri impulsi più sotterranei.
Esiste
un’alternativa a questo processo di spersonalizzazione e di omologazione
conformistica? Galimberti non affronta questo
interrogativo; non era, infatti, il compito che gli articoli si prefiggevano,
anche se ragiona su questi processi come se non avessero nessuna dialettica,
come se fossero inevitabilmente destinati a chiudere qualsiasi scenario diverso.
Quasi sicuramente
sarà così. La forza della tecnologia e del potere che questa tecnologia
utilizza è enorme e sproporzionata rispetto a chi ha compreso ( e agisce) per ciò che si potrebbe chiamare con una
parola consumata “alternativa”. Alternativa come nuovo modello di sviluppo
economico e sociale, culturale e antropologico contro la tendenza dominante di
una catastrofe planetaria, preannunciata da tempo da scienziati, pensatori e
artisti e che entra in connessione con altre voci: guerre nucleari e disastri
ambientali.
Umberto Galimberti. I vizi capitali e i
nuovi vizi. Feltrinelli.
Nessun commento:
Posta un commento