27 aprile 2016

"L'orologio di Paris" di André Kertéz




di Gianni Quilici

Siamo a Parigi, anno 1929: dal vecchio orologio de l'Institut la visuale con il ponte sulla Senna e lo sfondo monumentale del Louvre. Ma non ci fosse l'orologio, la foto avrebbe un'importanza documentaria. L'orologio con la lancetta e i numeri romani dà invece alla foto il “tocco” d'autore.
Provo a dire perché.

Primo: crea una distanza tra il primissimo piano del dettaglio dell'orologio e il campo medio-lungo dello  sfondo. Di più: un  contrasto cromatico tra la nettezza aggressiva del nero ed il chiarore-grigiore del resto.

Secondo: perché l'insieme di questi elementi forma una contaminazione: a un quadro placidamente naturalistico si sovrappone violentemente una sorta di incisione variamente grafica, che destruttura la compostezza della foto, sorprende l'occhio.

Terzo: perché quella statua che sembra guardare quei corpi che passeggiano, scuri su ponte grigiastro, è scolpita doppiamente in quel preciso attimo del Tempo che fugge, sia dall'orologio che dallo scatto fotografico.

Infine: l'insieme di questi elementi ha la forza di colpire immediatamente l’occhio, al di là di ogni ragionamento. E tuttavia osservandola, come ho cercato di fare, affina sguardo e percezioni, vocabolario e idee.  

André Kertész (Budapest, 2 luglio 1894 – New York, 28 settembre 1985) è stato un fotografo ungherese che ha però svolto la maggior parte della propria carriera artistica tra la Francia e gli Stati Uniti.
Prendo da Wilkipedia:
“Tra i maggiori fotografi del XX secolo, il suo lavoro ricevette notevoli riconoscimenti e fu di inspirazione per importanti artisti e fotografi suoi contemporanei. Dimostrò come qualsiasi aspetto del mondo, dal più banale al più importante, meriti di essere fotografato. Di carattere introverso, guidato principalmente dall'intuito, la sua opera è difficilmente classificabile. Nonostante la strada sia stata il soggetto principale e più stimolante delle sue fotografie, non era interessato alla cronaca o agli importanti eventi mondani, quanto alla possibilità di mostrare attraverso i grafismi delle moderne metropoli la felicità silenziosa di un istante”.

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