14 novembre 2018

"Museo Nazionale di Palazzo Mansi - Lucca" di Davide Pugnana


Al piano nobile di Palazzo Mansi, nel cuore di Lucca, si apre, non senza sorpresa per chi viene da fuori, quella vertiginosa Pinacoteca che squaderna dipinti per due secoli di pittura italiana.

Un'antologia figurativa disseminata lungo un percorso a "L", articolato in prima battuta in un grande e scenografico corridoio dalle pareti altissime, di colore rosso e completamente foderate di opere, cui segue la fuga serrata di tre piccole stanze altrettanto gremite di opere di altissima fattura.


L'allestimento a mo' di quadreria, secondo un'accozzaglia tipicamente barocca, dove i dipinti si affiancano e sovrappongono l'un l'altro alle pareti senza una sola riga di spiegazione e nella più totale assenza di didascalie, costituisce una palestra preziosissima per l'occhio che, a diretto contatto con una pluralità di stili, può fare esercizio attributivo o muovere al semplice riconoscimento guardando le varie "mani" che dal manierismo fiorentino con i ritratti di Pontormo e Bronzino arrivano al Seicento con il Sebastiano adolescente dal busto michelangiolesco scolpito dalla luce di Luca Giordano; le battaglie spadaccine per narrazione e tocco di Salvator Rosa, a cui rispondono, quasi per contrappunto, i pacati, siderei, metallici paesaggi nordici di Paul Bril.
Nel mezzo passano copie da Correggio di squisita fattura; gruppi di figure del Beccafumi dalla cromia smagliante sia pure temperata da una morbidezza che sfuma i contorni e che dialoga, a distanza, con il nudo femminile del Furini; in alto, grandi formati del Domenichino e di Orazio Gentileschi; un notturno rotto di bagliori del Bassano, e, nelle piccole sale, ritratti e soggetti sacri e profani che rivelano autentici e sconosciuti capolavori di metà-tardo Cinquecento e primo Seicento, tra i quali pezzi mirabili di Sustermans.

Tra questi figura la "Madonna col Bambino" attribuita a Francesco Avanzi, pittore di cui non abbiamo notizie certe; ma che dallo stile ci suggerisce un'attività svolta forse a Milano, a fine Cinquecento, forse a bottega da un allievo di Leonardo o da qualcuno che guarda alle conquiste tecniche ed espressive del maestro, e che Avanzi assimila con grande intelligenza figurativa e di cui dà prova in questo gioiello di disegno (salvo la sgrammaticatura anatomica del braccio del bimbo che crea una piccola lacuna estetica) e di perfetta calibratura di luci ed ombre, modulata secondo i dettami dello sfumato leonardesco; ma trattato con un di più di plasticismo che rende gli impasti e i trapassi chiaroscurali più fermi. Magistrale l'uso delle velature nella resa in profondità dei carnati e nella velificazione dei panneggi. Un pezzo da novanta della collezione.

L'unica pecca di queste piccole stanze, sul piano museografico, è il sistema di illuminazione che, in molti punti, purtroppo getta schiaffi di luce sull'opera e scempia, altera e impedisce all'occhio una corretta lettura, e a poco o nulla vale il piegarsi in basso o il mettersi di lato. È il caso, oltre che dell'Avanzi affatto illeggibile e del Pontormo, del ritratto di Federico Ubaldo della Rovere bambino di Alessandro Vitali, in abito rosso e scarpette grigie, in atto di giocare con la pallina e la racchetta in legno, che pare un Velàzquez o un Manet ante litteram.

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