Al
piano nobile di Palazzo Mansi, nel cuore di Lucca, si apre, non senza sorpresa
per chi viene da fuori, quella vertiginosa Pinacoteca che squaderna dipinti per
due secoli di pittura italiana.
Un'antologia
figurativa disseminata lungo un percorso a "L", articolato in prima
battuta in un grande e scenografico corridoio dalle pareti altissime, di colore
rosso e completamente foderate di opere, cui segue la fuga serrata di tre
piccole stanze altrettanto gremite di opere di altissima fattura.
L'allestimento
a mo' di quadreria, secondo un'accozzaglia tipicamente barocca, dove i dipinti
si affiancano e sovrappongono l'un l'altro alle pareti senza una sola riga di
spiegazione e nella più totale assenza di didascalie, costituisce una palestra
preziosissima per l'occhio che, a diretto contatto con una pluralità di stili,
può fare esercizio attributivo o muovere al semplice riconoscimento guardando
le varie "mani" che dal manierismo fiorentino con i ritratti di
Pontormo e Bronzino arrivano al Seicento con il Sebastiano adolescente dal
busto michelangiolesco scolpito dalla luce di Luca Giordano; le battaglie
spadaccine per narrazione e tocco di Salvator Rosa, a cui rispondono, quasi per
contrappunto, i pacati, siderei, metallici paesaggi nordici di Paul Bril.
Nel
mezzo passano copie da Correggio di squisita fattura; gruppi di figure del
Beccafumi dalla cromia smagliante sia pure temperata da una morbidezza che
sfuma i contorni e che dialoga, a distanza, con il nudo femminile del Furini;
in alto, grandi formati del Domenichino e di Orazio Gentileschi; un notturno
rotto di bagliori del Bassano, e, nelle piccole sale, ritratti e soggetti sacri
e profani che rivelano autentici e sconosciuti capolavori di metà-tardo
Cinquecento e primo Seicento, tra i quali pezzi mirabili di Sustermans.
Tra
questi figura la "Madonna col Bambino" attribuita a Francesco Avanzi,
pittore di cui non abbiamo notizie certe; ma che dallo stile ci suggerisce
un'attività svolta forse a Milano, a fine Cinquecento, forse a bottega da un
allievo di Leonardo o da qualcuno che guarda alle conquiste tecniche ed
espressive del maestro, e che Avanzi assimila con grande intelligenza
figurativa e di cui dà prova in questo gioiello di disegno (salvo la
sgrammaticatura anatomica del braccio del bimbo che crea una piccola lacuna
estetica) e di perfetta calibratura di luci ed ombre, modulata secondo i
dettami dello sfumato leonardesco; ma trattato con un di più di plasticismo che
rende gli impasti e i trapassi chiaroscurali più fermi. Magistrale l'uso delle
velature nella resa in profondità dei carnati e nella velificazione dei
panneggi. Un pezzo da novanta della collezione.
L'unica
pecca di queste piccole stanze, sul piano museografico, è il sistema di
illuminazione che, in molti punti, purtroppo getta schiaffi di luce sull'opera
e scempia, altera e impedisce all'occhio una corretta lettura, e a poco o nulla
vale il piegarsi in basso o il mettersi di lato. È il caso, oltre che
dell'Avanzi affatto illeggibile e del Pontormo, del ritratto di Federico Ubaldo
della Rovere bambino di Alessandro Vitali, in abito rosso e scarpette grigie,
in atto di giocare con la pallina e la racchetta in legno, che pare un
Velàzquez o un Manet ante litteram.
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