01 novembre 2018

"Conversazione su Tiresia " di e con Andrea Camilleri


di Silvia Chessa

Avvolti nel silenzio e nel buio della notte, dove solo le cicale osavano sussurrare un vibrante “in bocca al lupo”, nell’abbraccio alchemico di antiche pietre pregne di passato, salendo su quello stesso palco dove Eschilo dirigeva i suoi coreuti, l’11 giugno 2018, dal Teatro Greco di Siracusa, la voce di Andrea Camilleri (scrittore, autore amatissimo e popolare, con 30 milioni di libri venduti nel mondo, nonché padre di Montalbano), irrorata dalla magia del flauto di Roberto Fabbriciani (non saprei dire se fosse più flautata la voce di Andrea Camilleri o più umanizzata  quella emessa dal flauto, veramente magico, dell’impagabile Roberto Fabbriciani), ebbene quella voce si faceva corpo teatrale, dando vita alla più poetica attualizzazione del mito di Tiresia, vate omerico che profetava in versi.


Identificazione originalissima e però anche spontanea perché davvero Camilleri, avendo perso la vista è stato capace, da questo episodio, di trarre benefici e doni straordinari, ammantandosi di una mira precisa dal respiro lirico.


La personalità e la creatività erano già in dote a Camilleri, che non si sforza nell’identificarsi con il personaggio del mito, e addirittura arriva ad esserlo, e lo difende dalle accuse degli storici meno gentili come fossero rivolte a sé.


Tiresia è un personaggio simbolo che, come riscopriamo in questo evento-spettacolo, attraversa  pagine memorabili e luminosi versi, dai classici ai moderni, da Omero a Primo Levi, cangiando pelle ma non potenza, duttile, come pongo, a metamorfosi e mutamenti, sfuggente ad ogni identificazione, anche sessuale, per essere espressione di sapienza e facoltà di profetare in versi.



Camilleri novello Tiresia, vero testimone e vero vate, non solo ci parla di sé in una geniale e struggente identificazione col personaggio e mito di Tiresia, ma anche familiarizza e ci fa familiarizzare con classici come Omero, Ovidio, Stazio, Sofocle, Seneca, Dante, Poliziano, Milton, Borges, Apollinaire, Virginia Wolf, Pavese, Pound, Eliott, Pasolini, Primo Levi.
 
Frattanto ci chiama alla risata (scherzando sulla tragedia di possedere un cervello femminile, complicato, vendicativo in modo sottile o irascibile come quello di Era), allo stesso tempo attualizza il mito con riferimenti ai giorni nostri (discernere un serpente maschio da uno femmina è difficile come, oggi, distinguere un politico di sinistra da uno di destra), ci regala immagini dalla forte carica simbolica (il cardellino che, accecato, canta meglio).


Il tutto in una performance curata nei dettagli e scorrevole che parte dalla storia del poeta greco Anfione, dotato di virtù magiche, che per tre giorni rimase cantando, suonando, e poetando sul monte Citerone sino a che i grandi massi bianchi che costituivano la bellezza estetica del monte stesso ma che dovevano, invece, servire alla costruzione della città di Tebe, si staccarono spontaneamente e vennero giù rotolando come pecorelle incontro al loro destino di utilità per il mondo..


E alla poesia approda, lo spettacolo, concludendo l’excursus poetico attorno a  Primo Levi. Anch’egli ha tributato il suo omaggio a Tiresia, a lui ha intitolato, infatti, uno dei racconti della sua raccolta “La chiave a stella”; inoltre Levi, ci rammenta la voce di Camilleri, in un passaggio cruciale e conclusivo indicò, nella poesia, l’elemento salvifico che lo fece sopravvivere, nella detenzione nel lager nazista (orrore che neppure il migliore dei profeti poteva prevedere accadesse, infatti Camilleri Tiresia ammette di non aver potuto prefigurare i campi di concentramento e che nessun profeta avrebbe mai potuto immaginarli..), ad una metamorfosi ben peggiore di quella di Tiresia,  da uomo a donna. Senza la poesia Levi, prigioniero, con gli altri, nel campo di concentramento, dice di se stesso che si sarebbe trasformato da uomo a non uomo, un numero tatuato sulla pelle.

In questa appassionata lezione teatrale notiamo che Tiresia, peraltro, è stato la felice ossessione di Ezra Pound, comparendo nel primo e nell’ultimo dei suoi Cantos, e, dal momento che l’ultimo fu scritto a distanza di 40 anni dal primo, possiamo ben dire che il personaggio del vate tebano ha tenuto compagnia molto a lungo a Pound, una delle menti più dotte e poliedriche del Novecento, capace di coniugare sperimentalismi e afflati virgiliani.  


Ci tiene avvinti un'ora e mezzo questo monologo che Camilleri, 93enne lucidissimo, noto al mondo come scrittore ma qui al suo esordio come attore, padroneggia completamente a memoria senza -lo sottolineo con ammirazione ! - nessun ausilio o suggeritore.


Un monologo che, per contenuti e spessore, è pari ad una lezione cattedratica ma, per chiarezza e comprensibilità, è alla portata di tutti, dai toni leggeri come di una conversazione fra amici. Tutto ciò si sviluppa in una dimensione magica ma anche essenziale dove l'elemento barocco è dato solo dalla cornice del teatro e dalle innate suggestioni di una Sicilia che riaffiora a tratti con la sua storia antica, il femminino pagano e poi sacro, i suoi profumi inebrianti, il mare, le sue malie..

“Ci sono luoghi che come navi spaziali si muovono nel tempo..è come mettere il piede dentro un’astronave”, dice Camilleri a proposito del Teatro Greco di Siracusa.


E, in quel teatro astronave, Camilleri-Tiresia è in cerca, mette noi spettatori in cerca, dell’eternità.

E se, come scrive Borges, siamo tutti attori e spettatori al contempo, quel pizzico di eternità l’abbiamo scorta, e ci appartiene davvero, dal momento che lo abbiamo ascoltato, immerso nella eternante cornice scenica del Teatro Greco di Siracusa.



Memorabile questo debutto di Camilleri, condotto dalla regia intelligente di Roberto Andò e Stefano Vicario, che ne lasciano, senza forzature, librare il naturale talento.


Forte anche l’allaccio a una Sicilia barocca, dialettica e provocatrice, allaccio che infatti suggerisce a Camilleri-Tiresia due spiritosi accenni al suo Montalbano, in questa amichevole e poderosa narrazione.


Andando a dipanare la magica materia dei sogni ed incubi di Tiresia, questo soggetto cine-teatrale ha indicato a tutti noi la chiave per vedere oltre il buio, e intingere nella tinozza della poesia il sapere multiforme e infinito del nostro secolo, tecnologico e iperconnesso, ma che si arresta alla cronaca, laddove avrebbe la memoria e la potenzialità di veggenza del domani.


Parlo della bellezza. Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo si incontra ci si sente rianimati.”, le parole sono di Pound, uno dei grandi poeti citati nello spettacolo. E così, parafrasando le parole di Ezra Pound, ci si sente rianimati dal pensiero che corre veloce in questo monologo che si conclude, per voce di Camilleri, con un appuntamento dall’ardire profetico, nello stesso posto, fra cent’anni.


Tiresia aveva una figlia, Manto, che ereditò i suoi prodigiosi poteri e che fondò Mantova.

Chissà chi potrebbe indossare le vesti di Manto, fra le attrici di oggi?

Ed ancora chi potrà, magari, ricevere il testimone di questa avventura teatrale e culturale? 

Personalmente mi auguro sia l’inizio di un ciclo del genere, e suggerisco agli autori di non dimenticare altre giganti figure come, a titolo d’esempio, la figura di Cassandra, o quella di Medea, viste dalla penna e dalla prospettiva intrigante di Christa Wolf.



“Conversazione su Tiresia”

Di e con Andrea Camilleri 

A cura di Valentina Alferj

Regia teatrale di Roberto Andò

Regia di Roberto Andò e Stefano Vicario

Musiche dal vivo di Roberto Fabbriciani



Prodotto da Palomar e distribuito in esclusiva al cinema da Nexo Digital

solo il 5, 6, 7 novembre 2018

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