di Silvia Chessa
Avvolti nel silenzio e
nel buio della notte, dove solo le cicale osavano sussurrare un vibrante “in
bocca al lupo”, nell’abbraccio alchemico di antiche pietre pregne di passato,
salendo su quello stesso palco dove Eschilo dirigeva i suoi coreuti, l’11
giugno 2018, dal Teatro Greco di Siracusa, la voce di Andrea Camilleri
(scrittore, autore amatissimo e popolare, con 30 milioni di libri venduti nel
mondo, nonché padre di Montalbano), irrorata dalla magia del flauto di Roberto
Fabbriciani (non saprei dire se fosse più flautata la voce di Andrea Camilleri
o più umanizzata quella emessa dal
flauto, veramente magico, dell’impagabile Roberto Fabbriciani), ebbene quella
voce si faceva corpo teatrale, dando vita alla più poetica attualizzazione del
mito di Tiresia, vate omerico che profetava in versi.
Identificazione originalissima
e però anche spontanea perché davvero Camilleri, avendo perso la vista è stato
capace, da questo episodio, di trarre benefici e doni straordinari,
ammantandosi di una mira precisa dal respiro lirico.
La personalità e la
creatività erano già in dote a Camilleri, che non si sforza nell’identificarsi
con il personaggio del mito, e addirittura arriva ad esserlo, e lo difende
dalle accuse degli storici meno gentili come fossero rivolte a sé.
Tiresia è un personaggio
simbolo che, come riscopriamo in questo evento-spettacolo, attraversa pagine memorabili e luminosi versi, dai
classici ai moderni, da Omero a Primo Levi, cangiando pelle ma non potenza,
duttile, come pongo, a metamorfosi e mutamenti, sfuggente ad ogni
identificazione, anche sessuale, per essere espressione di sapienza e facoltà
di profetare in versi.
Camilleri novello
Tiresia, vero testimone e vero vate, non solo ci parla di sé in una geniale e
struggente identificazione col personaggio e mito di Tiresia, ma anche
familiarizza e ci fa familiarizzare con classici come Omero, Ovidio, Stazio,
Sofocle, Seneca, Dante, Poliziano, Milton, Borges, Apollinaire, Virginia Wolf,
Pavese, Pound, Eliott, Pasolini, Primo Levi.
Frattanto ci chiama alla risata (scherzando sulla tragedia di possedere un
cervello femminile, complicato, vendicativo in modo sottile o irascibile come
quello di Era), allo stesso tempo attualizza il mito con riferimenti ai giorni
nostri (discernere un serpente maschio da uno femmina è difficile come, oggi,
distinguere un politico di sinistra da uno di destra), ci regala immagini dalla
forte carica simbolica (il cardellino che, accecato, canta meglio).
Il tutto in una performance
curata nei dettagli e scorrevole che parte dalla storia del poeta greco Anfione,
dotato di virtù magiche, che per tre giorni rimase cantando, suonando, e
poetando sul monte Citerone sino a che i grandi massi bianchi che costituivano
la bellezza estetica del monte stesso ma che dovevano, invece, servire alla
costruzione della città di Tebe, si staccarono spontaneamente e vennero giù
rotolando come pecorelle incontro al loro destino di utilità per il mondo..
E alla poesia approda,
lo spettacolo, concludendo l’excursus poetico attorno a Primo Levi. Anch’egli ha tributato il suo
omaggio a Tiresia, a lui ha intitolato, infatti, uno dei racconti della sua raccolta
“La chiave a stella”; inoltre Levi, ci rammenta la voce di Camilleri, in un
passaggio cruciale e conclusivo indicò, nella poesia, l’elemento salvifico che
lo fece sopravvivere, nella detenzione nel lager nazista (orrore che neppure il
migliore dei profeti poteva prevedere accadesse, infatti Camilleri Tiresia
ammette di non aver potuto prefigurare i campi di concentramento e che nessun
profeta avrebbe mai potuto immaginarli..), ad una metamorfosi ben peggiore di
quella di Tiresia, da uomo a donna.
Senza la poesia Levi, prigioniero, con gli altri, nel campo di concentramento, dice
di se stesso che si sarebbe trasformato da uomo a non uomo, un numero tatuato
sulla pelle.
In questa appassionata
lezione teatrale notiamo che Tiresia, peraltro, è stato la felice ossessione di
Ezra Pound, comparendo nel primo e nell’ultimo dei suoi Cantos, e, dal momento
che l’ultimo fu scritto a distanza di 40 anni dal primo, possiamo ben dire che
il personaggio del vate tebano ha tenuto compagnia molto a lungo a Pound, una
delle menti più dotte e poliedriche del Novecento, capace di coniugare
sperimentalismi e afflati virgiliani.
Ci tiene avvinti un'ora e mezzo questo monologo che Camilleri, 93enne lucidissimo, noto al mondo come scrittore ma qui al suo esordio come attore, padroneggia completamente a memoria senza -lo sottolineo con ammirazione ! - nessun ausilio o suggeritore.
Un monologo che, per
contenuti e spessore, è pari ad una lezione cattedratica ma, per chiarezza e
comprensibilità, è alla portata di tutti, dai toni leggeri come di una
conversazione fra amici. Tutto ciò si sviluppa in una dimensione magica ma anche
essenziale dove l'elemento barocco è dato solo dalla cornice del teatro e dalle
innate suggestioni di una Sicilia che riaffiora a tratti con la sua storia
antica, il femminino pagano e poi sacro, i suoi profumi inebrianti, il mare, le
sue malie..
“Ci sono luoghi che come
navi spaziali si muovono nel tempo..è come mettere il piede dentro
un’astronave”, dice Camilleri a proposito del Teatro Greco di Siracusa.
E, in quel teatro
astronave, Camilleri-Tiresia è in cerca, mette noi spettatori in cerca, dell’eternità.
E se, come scrive
Borges, siamo tutti attori e spettatori al contempo, quel pizzico di eternità
l’abbiamo scorta, e ci appartiene davvero, dal momento che lo abbiamo
ascoltato, immerso nella eternante cornice scenica del Teatro Greco di Siracusa.
Memorabile questo
debutto di Camilleri, condotto dalla regia intelligente di Roberto Andò e
Stefano Vicario, che ne lasciano, senza forzature, librare il naturale talento.
Forte anche l’allaccio a
una Sicilia barocca, dialettica e provocatrice, allaccio che infatti suggerisce
a Camilleri-Tiresia due spiritosi accenni al suo Montalbano, in questa amichevole
e poderosa narrazione.
Andando a dipanare la
magica materia dei sogni ed incubi di Tiresia, questo soggetto cine-teatrale ha
indicato a tutti noi la chiave per vedere oltre il buio, e intingere nella
tinozza della poesia il sapere multiforme e infinito del nostro secolo,
tecnologico e iperconnesso, ma che si arresta alla cronaca, laddove avrebbe la
memoria e la potenzialità di veggenza del domani.
“Parlo della bellezza.
Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo si incontra ci si
sente rianimati.”, le parole sono di Pound, uno dei grandi poeti citati nello
spettacolo. E così, parafrasando le parole di Ezra Pound, ci si sente rianimati
dal pensiero che corre veloce in questo monologo che si conclude, per voce di
Camilleri, con un appuntamento dall’ardire profetico, nello stesso posto, fra
cent’anni.
Tiresia aveva una
figlia, Manto, che ereditò i suoi prodigiosi poteri e che fondò Mantova.
Chissà chi potrebbe
indossare le vesti di Manto, fra le attrici di oggi?
Ed ancora chi potrà,
magari, ricevere il testimone di questa avventura teatrale e culturale?
Personalmente mi auguro sia l’inizio di un ciclo del genere, e suggerisco agli
autori di non dimenticare altre giganti figure come, a titolo d’esempio, la
figura di Cassandra, o quella di Medea, viste dalla penna e dalla prospettiva
intrigante di Christa Wolf.
“Conversazione su Tiresia”
Di e con Andrea Camilleri
A cura di Valentina
Alferj
Regia teatrale di
Roberto Andò
Regia di Roberto
Andò e Stefano Vicario
Musiche dal vivo di
Roberto Fabbriciani
Prodotto da Palomar
e distribuito in esclusiva al cinema da Nexo Digital
solo il 5, 6, 7
novembre 2018
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