di Marisa Cecchetti
Le
ha raccolte in un libriccino la moglie Giovanna, queste poesie di Sanzio Bonci,
dopo la sua scomparsa nel 2018.
In modo artigianale, come talora si fa per condividere
il ricordo di una persona cara con parenti ed amici. Lo riconosco nella foto di
copertina, è una persona che ho incontrato più volte, per strada, in chiesa, in
occasione di eventi culturali. Non lo avevo mai conosciuto abbastanza. Ma la
poesia è rivelatrice.
Il
Bonci preferisce il senario veloce e ritmato, non cerca la rima, il pensiero
fluisce e disegna la vita che è stata e l’adesso che incalza e procede, senza
possibilità di ritorno.
C’è
un contrasto doloroso tra la
consapevolezza della fine sempre più vicina (“adesso mi opprime/la stanchezza
del vivere;/troppe esistenze/mi hanno spossato”), tangibile quasi (“non vista,
alle spalle/maligna, improvvisa/precipita l’ora”), e la nostalgia della
bellezza, con una struggente malinconia di primavere che torneranno in mezzo ad una esplosione di colori e profumi
e canti di uccelli, di vita che si rinnova, di schiamazzi e di giochi di bimbi,
con la natura indifferente all’assenza di chi quella vita l’ha amata: “serenamente
io canto,/tragicamente io canto”.
Tuttavia
il ricordo di tanta bellezza rasserena il pensiero ed entra nei sogni;
consolante è l’amore che ha intorno, la mano che stringe la sua. Di conforto è l’immaginazione
che costruisce scenari rasserenanti: ”l’antico bambino/non concepiva/ l’inganno
e nemmeno/la pura ragione/perché ammalato/d’immaginazione”. Di sostegno è la
fede grazie alla quale lui si proietta nell’altrove cercando risposte, in un
misto di curiosità e di fiducia non scevra da timore, comunque mantenendo la ferma
certezza che un angelo buono lo verrà a raccogliere e lo accompagnerà.
Torna
frequente l’immagine della notte simbolicamente associabile alla morte, insieme
alla figura dell’allocco che ghermisce le prede
col “suo perfido artiglio”. Per fortuna arriva ancora “l’alba rosata/che
fa dolci le ombre”
Stupisce
e turba la forza di mettere in versi il momento che si avvicina al trapasso,
con tanta chiarezza, con lucidità di pensiero. Non con la razionalità materialistica di chi vede
la fine di tutto e stoicamente la subisce, ma soffermandosi a rivelare le proprie
fragilità, in un consuntivo che raccoglie debolezze e limiti, finendo per
assolversi ed accettarsi in questa “umana finitudine”.
E’
una poesia che non cerca ermetismi, ricca
di riferimenti letterari, dove lo sguardo del Bonci si allarga alla società, alle sofferenze degli
emarginati, ai pregiudizi, alle ingiustizie, alle bassezze dis-umane così distanti dal suo sentire, e dove la luna
rimane impotente a guardare la malvagità: “la storia dell’uomo,/tutta intera, è
passata/qui, sotto la luna,/come un fiume di sangue/di odio e d’amore/e con
troppo dolore”.
Il
titolo Armonie è una sintesi appropriata, perché racchiude una accettazione dei contrasti -vita e morte- in composto equilibrio tra loro.
Sanzio Bonci, Armonie, 2019
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