23 gennaio 2020

“Si nota all’imbrunire” di Silvio Orlando




di Silvia Chessa

Un uomo, Silvio, ha deciso di rimanere isolato e di affrontare stoicamente il buio e l'assordante silenzio della solitudine coadiuvato solo dai suoi libri (Caproni, Hemingway, i diari di Sylvia Plath) e dalla musica di Rachmaninov, in compagnia dei ricordi, scivolando così sul tramonto della propria vita come un'isola che si richiude ancor più in se stessa facendosi iceberg.

La sua famiglia non gli è familiare, i suoi figli sono al pari di estranei, l’unico contatto è quello con una commessa del supermercato dello spopolato villaggio di quindici anime dove si è rifugiato. In questo stadio, inizia a sviluppare manie e tic : voler rimanere seduto, il “capochinismo”, la convinzione di parlare mentre i pensieri gli rimangono dentro, intrappolati, inespressi. Le persone intorno piano piano spariscono come ombre: chi non cerca alla fine non verrà cercato. Eppure questa solitudine programmatica e metodica non porta soddisfazione e vera serenità al protagonista, ma ne aumenta la frustrazione. “Gli altri sono la possibilità, il rischio..” mentre libri e silenzio “non bastano a fare una vita”.

Silvio non è contento (“Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia”, dice il fratello 
Roberto, citazionista compulsivo, appunto citando Paul Valery): vorrebbe, nell'anniversario decennale della morte della moglie, accanto a sè i suoi tre figli ed il fratello e così in qualche modo li richiama, li rievoca. Ed essi si presentano. Peccato che anch'essi siano afflitti -in una sorta di tremendo incubo psicopatologico sociale- da altrettante solitudini, oscillanti fra narcisistiche necessità di farsi comprendere e sentimento di aver fallito, fra rimorsi e rancori. Va da sé che in questa epidemia di solitudine l'incomunicabilità è il tema ricorrente, un nodo nel nodo delle innumerevoli varianti di solitudini (per essere tale, la solitudine fa in modo di specificarsi, in ciascuno, in modi e maniere diverse, così da acuirne il singolo ed incomparabile dolore). 


Ad essa si legano le varie manie ed ossessioni del protagonista e dei suoi consanguinei: Alice, Vincenzo, Maria nonché il fratello maggiore, Roberto -impersonato dal grande e consumato attore Roberto Nobile- mentre si crogiuolano nei loro disagi, gareggiano in definizionismo, offrendo, al protagonista, descrizioni e soluzioni, ma senza risalire o interessarsi alla radice del malessere. Essi, dunque, vivono la malattia come stato consolatorio in una società che impone la dittatura della salute, soffrendo altresì la fatica di occuparsi gli uni degli altri (“occuparmi di te mi prosciuga”, dirà Silvio ad Alice).  

In questo riuscito spettacolo inframmezzato da battute e spunti comici (i figli uno non si aspetta, crescendo, che diventino dei “suoceri” criticoni e , oltre una certa età, si dovrebbe passare di grado a cugini..), Silvio Orlando si staglia come un gigante, padroneggiando una sceneggiatura analitica profonda ma verbosa e si conferma come un maestro di eccezionale talento.
Bravi tutti nelle loro interpretazioni, essenziale la scenografia ma al contempo elegante e raffinata, spettacolo da non perdere (al teatro Quirino, fino al 2 febbraio) che fotografa mirabilmente la società e la sua deriva solitaria e isolazionista.


foto di Silvia Chessa
SILVIO ORLANDO
SI NOTA ALL’IMBRUNIRE
(Solitudine da paese spopolato)

Scritto e diretto 
da Lucia Calamaro

Con (in ordine alfabetico):
Vincenzo Nemolato, Roberto Nobile,
 Alice Redini, Maria Laura Rondanini

Scene: Roberta Crea

Costumi: Ornella e Maria Campanale

Luci: Umile Vainieri

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