21 giugno 2021

"Il fantasma esce di scena" di Philip Roth

 

di Marigabri
 

“Mi ero abituato alla solitudine, a una solitudine senza angosce, e con essa al piacere di essere irreperibile e libero: paradossalmente, libero soprattutto da me stesso.“

       Lo scrittore fantasma è tornato a New York dopo alcuni anni di volontario isolamento in una casetta situata nella zona montagnosa del Berkshire, lontano da tutti e da tutto.

      Un luogo simbolico, che fu il rifugio di E.I. Lonoff, il venerato scrittore che Nathan Zuckerman, ventitreenne giovane promessa della letteratura, andò a trovare arrancando tra muraglie di neve e le cui vicissitudini sono raccontate nel primo libro dedicato all’alter ego di Roth: Lo scrittore fantasma.

       Ora il cerchio si chiude. Zuckerman ha più di settant’anni. È arrivato il tempo dei congedi.

      Dalla tirannia del desiderio, dalla nostalgia di una virilità ormai perduta, dalla partecipazione accorata alla deriva della politica americana (è il 2004, rielezione di Bush), dalla vanità della fama (“i giorni vanagloriosi dell’autoaffermazione sono finiti”) e dall’illusione di poter guarire dalla sua malattia (“provai l’amara impotenza di un vecchio schernito che moriva dalla voglia di essere ancora integro”).

      Ma la città che vide la pienezza della vita e nella quale Nathan si persuade di poter riconquistare un rinnovato vigore gli riserva alcune sorprese, nella forma degli incontri: primo fra tutti quelli con Jamie, avvenente trentenne sposata con Billy, che risusciterà quei fantasmi del desiderio da cui il narratore si sentiva erroneamente al sicuro. La ruota viziosa che reclama dalla vita i suoi frutti più succulenti ricomincia così a girare, ignara del tempo e della decadenza fisica.

      “Non c’è frangente da cui l’infatuazione sia incapace di trarre alimento. Mi bastava guardarla per trasalire: lasciavo che mi entrasse negli occhi come un mangiatore di spade inghiotte una lama.”

     Ma c’è anche qualcosa che torna dal passato: ecco apparire, irriconoscibile e deturpata dalla malattia, Amy Bellette, la ragazza che quella notte di molti anni prima unì fatalmente la sua vita a quella di Lonoff e sulla quale Zuckerman fantasticò un impossibile congiungimento e una possibile storia di salvezza dai lager nazisti. (L’ebraismo rimane il tema di fondo che sentiamo spesso risuonare nei libri di P.Roth).

       Ancora: l’inesorabile confronto tra la belligerante vitalità della giovinezza e il declino implacabile della vecchiaia, tra la presunzione di conquistare lustro e fama di scrittore ed esserlo veramente, tra l’arte di scrivere romanzi e il saccheggio necroforo di scrivere una biografia: “E non è stupefacente che la propria bravura, i propri successi, quali siano stati, debbano trovare la loro consumazione nel castigo dell’inquisizione biografica?“ (Una biografia, Nathan. Non la voglio. È una seconda morte. Dà un altro alt alla vita rendendola immutabile per sempre”).

       E poi la scrittura, un altro effetto del desiderio: il fuoco dell’ispirazione e della disciplina che fa esistere ciò che non è. (Come dice Wisława Szymborska: “La gioia di scrivere/ Il potere di perpetuare/ La vendetta d’una mano mortale”).

       Infine su tutto si erge come uno spettro shakespeariano il tema dei temi: la morte; la falce che porta via tutti, puntale e implacabile, ma pur sempre inattesa (“morì come moriamo tutti: da volgari dilettanti”).

      “E strada facendo, come Amy, come Lonoff, come Plimpton, come tutta la gente al cimitero che aveva affrontato coraggiosamente l’impresa e il dovere, sarei morto anch’io, ma non prima di essermi seduto al tavolo vicino alla finestra, guardando fuori nella luce grigia di un mattino di novembre, oltre a una strada spolverata di neve e fino alle acque silenziose increspate dal vento della palude…”

      Cioè non prima di avere scritto le battute finali dell’eterna commedia del desiderio, fino al punto in cui la realtà afferma il suo primato sull’immaginazione e il Fantasma esce di scena.

 Philip Roth. Il fantasma esce di scena.Traduz. di Vincenzo Mantovani. Einaudi

Nessun commento: