di Giancarlo Beriola
“E’ stato dunque tutto un grosso sbaglio. La mia modesta conclusione è che la civiltà occidentale sia stata fondata su un’idea erronea e perversa di natura umana. Insomma, scusateci, ma ci siamo proprio sbagliati. E soprattutto non dimentichiamoci che questa perversa concezione di natura umana sta mettendo a repentaglio la nostra stessa esistenza.”
Quanto sopra è l’ultimo capoverso del breve (ma denso...) saggio di Marshall Sahlins Un grosso sbaglio (Eléuthera, 122 pagg., € 12,00) nel quale l’autore analizza l’idea (sbagliata) di natura umana nel mondo occidentale: l’uomo, si dice, si è evoluto dallo stato animale conservando comportamenti predatori e violenti (che noi umani attribuiamo agli animali!) finalizzati al soddisfacimento egoistico dei propri bisogni (hobbesianamente homo homini lupus) da cui nasce l’esigenza di controllare socialmente e politicamente tali istinti.
Physis/nomos, natura che deve essere gestita dalle convenzioni (o regole, leggi, tradizioni, consuetudini, in sintesi cultura) diventa sin dall’antica Grecia il dualismo su cui si muove il pensiero filosofico, politico, economico, religioso in Occidente. Sahlins inizia il saggio prendendo spunto dalla lettura che Hobbes e John Adams fanno del terzo libro de La guerra del Peloponneso di Tucidide dove viene narrata la sanguinosa guerra civile a Corcira (odierna Corfù); da questo resoconto Hobbes conviene che per controllare gli istinti degli individui sia necessario che il potere venga gestito - con la dovuta autorità - da una persona sola, un re; Adams, a sua volta, ritiene che un equilibrio tra i poteri (legislativo ed esecutivo, p.es.) permetterebbe uno sviluppo sociale civile con la soddisfazione degli interessi dei gruppi rappresentati e il soddisfacimento dei bisogni (egoistici) dei componenti delle fazioni contrapposte.
Sahlins così sintetizza: “Per quanto diverse fossero le rispettive [Tucidide, Hobbes, Adams] soluzioni [anarchia, gerarchia, eguaglianza] al fondamentale problema della malvagità umana, tanto Hobbes quanto Adams avevano trovato nel testo di Tucidide (...) la fonte di ispirazione per le loro idee sugli orrori cui la società andrebbe incontro qualora i naturali desideri dell’uomo non venissero controllati .”
All’opposto dell’Occidente il resto del mondo ha una visione diversa (Sahlins, al riguardo, cita numerose ricerche antropologiche) circa il dualismo natura/cultura: l’uomo sta nella natura e riconosce di farne parte con gli animali, le piante, le cose che lo circondano: “Non è il caso di sorprendersi neanche per i resoconti etnografici provenienti dalla Nuova Guinea o dalle Americhe, secondo i quali gli animali sono in origine esseri umani. Sono gli animali a discendere dagli uomini e non viceversa (...) sotto la pelle gli animali sono esseri umani.” Questo non vuol dire che non sia necessaria una conoscenza di regole, di comportamenti, di rituali (cultura, insomma) da apprendere sin da bambini: “Per loro [le società <<primitive>>] i bambini sono una umanità-in-divenire, per noi un’animalità-da-sopraffare. (... ) Secondo il folclore tradizionale occidentale, il <<selvaggio>> (loro) sta al civilizzato (<<noi>>) come la natura sta alla cultura e come il corpo sta alla mente. E’ un fatto antropologicamente accertato che per noi la natura e il corpo sono i fondamenti della condizione umana, mentre per loro lo sono la cultura e la mente. Per parafrasare ciò che ha scritto Lévi-Strauss in un contesto analogo, chi dei due dà più lustro alla specie umana?”
La parola chiave, quindi, per Sahlins circa il rapporto physis/nomos è cultura. Definendo realisti coloro che, come le varie popolazioni “selvagge” citate nel saggio, “considerano la cultura come lo stato originale dell’esistenza umana e la biologia come lo stato secondario e condizionale. (...) La presenza della cultura nel percorso evolutivo umano risale a circa tre milioni di anni fa” e ”... l’uomo anatomicamente moderno risale a cinquantamila anni fa (...) il che renderebbe la cultura sessanta volte più vecchia della specie che noi conosciamo”, sicché ”(...) per circa tre milioni di anni gli umani si sono evoluti biologicamente in base a una selezione culturale. Siamo stati plasmati, corpo e anima, per una esistenza culturale.”
Quindi: “Per metterla in linguaggio antropologico: la cultura è la natura umana.”
Marshall Sahlins (Chicago 1930 - 1921), professor emeritus nell’Università di Chicago, è stato uno dei “grandi vecchi” dell’antropologia contemporanea. Internazionalmente noto per la sua ricerca sulle economie primitive, condensata nel libro L’economia dell’età della pietra (1980), ha poi rivolto la sua attenzione al complesso rapporto tra storia, antropologia, colonialismo.
Altri suoi libri pubblicati in Italia sono Cultura e utilità (Bompiani 1982) e Capitan Cook, per esempio. Le Hawai, gli antropologi, i nativi (Donzelli 1997).
Marshall Sahlins Un grosso sbaglio (Eléuthera, 122 pagg., € 12,00)
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