di Marigabri
Memoir e analisi sociopolitica insieme. Un racconto lucido e accorato insieme.
Ma perché Michela Marzano decide di indagare il suo passato e in particolare di scavare con meticoloso accanimento nella storia del nonno paterno, allo stesso modo in cui in un ciclo di psicoanalisi si cerca di far riemergere dall’inconscio il rimosso? Per curare una ferita, evidentemente. Curarla senza dimenticare. Affinché la cicatrice ne ricordi il significato. Perché non c’è guarigione senza consapevolezza.
Come dice lei stessa in una intervista:
“Quello che ho anche imparato attraverso la psicanalisi è che tante volte i sintomi, il malessere, sono transgenerazionali. Cioè i figli sono sintomi dei genitori che a loro volta sono sintomi dei propri genitori. Siccome nonostante tutta l’analisi che avevo fatto permaneva una vergogna e una forte sensazione di inadeguatezza, ho voluto scavare a fondo.”
Ma non è solo un’indagine di esplorazione sul proprio personale senso di colpa quella che la filosofa conduce, è anche una disamina sul nostro passato di italiani, sulla nostra vergogna nazionale: il fascismo, le sue conseguenze, e la sua troppo frettolosa rimozione dalla memoria collettiva.
“Io vengo da una famiglia di sinistra, io sono sempre stata di sinistra, eppure ho scoperto un passato sulla mia famiglia che non conoscevo. Ho scoperto una vera e propria amnesia da parte di mio padre e con questo libro ho ricostruito tutta una serie di segreti che io stessa non mi aspettavo di trovare. Ci sono una serie di fili che si intersecano: c’è il filo della prima persona, la mia voce, poi c’è una parte di fiction in cui io ricostruisco ciò cui non ho avuto accesso, ovvero la storia di mio nonno, di mia nonna e poi c’è l’ultimo film che è quello della storia del nostro paese e dell’amnesia italiana. Oggi credo che non solo Michela Marzano ha dovuto fare i conti con il proprio passato, ma che sia arrivato il momento per tutti noi, per ognuno, di fare i conti con la storia.”
Michela
Marzano. Stirpe e vergogna. Rizzoli, 2021.
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