11 agosto 2022

"Le terre dello sciacallo" di Amos Oz

 

di Giulietta Isola

       Considero Amos Oz fra i più grandi scrittori degli ultimi decenni, così gentile, generoso ed inconsolabilmente triste. Insofferente fin da giovane con la sua famiglia d’origine, coltissima, ma estranea alle regole laburiste e pioneristiche del tempo, lasciò la sua casa di Gerusalemme già a quindici anni per trasferirsi nel Kibbutz Hulda, dove cambia cognome proprio per definire una cesura con la famiglia, ma soprattutto non riusciva a fare i conti con il suicidio della madre, un lutto dal quale non è mai riuscito a guarire. 
       Il ragazzo Oz vuole essere abbronzato, laconico, fortissimo , vuole essere pioniere, agricoltore, e con i piedi nudi toccare la terra, nel kibbutz incontra l’amore e viene conquistato dal demone della scrittura, fra quelle genti ispirate dal socialismo, in una meravigliosa mescolanza e conta minazioni trova la sua strada. 
      
        I nove racconti, più un decimo di soggetto biblico, parlano dell’esperienza del kibbutz, con sullo sfondo reminiscenze del recente servizio militare e i miti del combattente forte, ma in fondo terribilmente infelice ed impaurito. Israele era un Paese giovane, un paese piccolo, povero, minacciato dai nemici che lo circondano, il kibbutz rappresentava l’utopia realizzata dell’altruismo, il migliore dei mondi possibili. In questo ambito, le arti tutte letteratura inclusa, servono a rafforzare lo spirito patriottico. 
 
        Oz mette tutto in discussione, riesce a creare con le parole, le frasi, le trame, l’uso di nomi e nomignoli immagini ed atmosfere, non ha bisogno di argomenti ideologici, si affida semplicemente alla letteratura. Alla vita di comunità in cui tutto, dal lavoro al pranzo, si svolge in associazione, si contrappone il deserto circostante immobile e silenzioso, come spesso sono i personaggi : soli nel proprio dolore, nella sofferenza del passato e nella notte gli ululati degli sciacalli. 
        Ma tutto è perfettibile, gli uomini del Kibbutz sono spesso egoisti, ridicoli, infedeli e le donne prigioniere della loro solitudine e sottomissione, in questi racconti c’è la loro sete di potere, una forte carica erotica nella quale le donne sono oggetti o trofei , una mancanza di empatia, storie di incesti veri e immaginari. 
       Nelle pagine ci sono i pionieri, i sabra, gli intellettuali europei, i rifugiati che avevano un sogno per la cui realizzazione hanno combattuto guerre, forgiato un nazione, seguito un’ideologia politica per scontrarsi con una realtà che non è dolce come il sogno. 
 
        I toni sono talvolta violenti e furiosi, i personaggi cupi , ruvidi, sensuali e conturbanti, esseri umani imperfetti che vivono drammi e passioni senza tempo: madri col cuore spezzato, nemici, esiliati, sconfitti, folli, religiosi, politici e mediocri, uomini e donne con dubbi e contraddizioni, desiderosi di fuga e di libertà dal ristretto confine del villaggio. 
 
         Amos Oz mi è nel cuore non solo perché è un grandissimo scrittore, mi è nel cuore per aver speso una vita al servizio della sua terra dal Kibbutz alle battaglie civili, non ha mai smesso di denunciare l’escalation militare verso i Palestinesi e di promuovere la soluzione dei due Stati, sapeva che per fare “il Bene” non sono sufficienti le belle parole, non sopportava i fondamentalismi: islamico, ebraico, cristiano, li considerava un morbo del nostro tempo e per vincerli riteneva fosse necessario rinunciare a qualche diritto, per non ledere quelli altrui. 
        Per lui la pace con i Palestinesi voleva dire fine dell’occupazione e due Stati, un divorzio ragionevole senza pretesa di amore tra ex nemici, fu il primo, nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni a dire pubblicamente che occorreva ritirarsi dai territori appena occupati. 
       
       Ha vissuto molti anni ad Arad nel deserto del Negev, è sepolto nel Kibbutz Hulda, non è stato un pacifista in senso stretto lo definirei un attivista della pace che, con la sua grandezza morale ed intellettuale ha sondato l’anima sofferente, normale, aperta a se stessa e al mondo, dello stato ebraico, che, per ora, ha “perso” la scommessa con la storia: la pace con i palestinesi. 
 
       Ricordo le ultime foto di un uomo bello, con le rughe e gli occhi turchesi e penso alla sua eredità: gli israeliani non sono amati dai loro vicini, lui pensava che contare sulla sola forza militare non avrebbe portato lontano, meglio sarebbe, per sopravvivere, migliorare i rapporti di vicinato, ed uno come lui che ricordava la nascita di Israele, tutte le guerre, le difficoltà attraversate non poteva che essere deluso per le speranze tradite, lo ha detto e non sono in tanti ad averlo fatto. 
    
       Questi racconti scritti nei primi anni Sessanta, quando aveva poco più di venti anni, sono da leggere per capire come nasce un gigante.
 
LE TERRE DELLO SCIACALLO di AMOS OZ FELTRINELLI EDITORE

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