19 agosto 2022

"Semi di girasole" di Eliana Favilla

 


di Marisa Cecchetti

      Sono cento copie numerate e firmate quelle di Semi di girasole, nella collana Le mimose: “Cento copie, e non di più, da offrire come in dono ad altrettanti potenziali amici […] Cento amici e non di più. Cos’altro può pretendere chi scrive?” si legge sulla quarta di copertina.

      Eliana Favilla, lucchese, laureata in Lingue e Letterature Straniere, che ha cominciato a pubblicare fin dal 2004, ama profondamente la poesia e soprattutto ha una vastissima conoscenza dei poeti, tanto da consumare le pagine dei loro libri: “Frusto per devozione da laudario/il libro aperto/è notte quasi buia”(Frutti cascaticci).

     La raccolta è quasi interamente dedicata ai poeti a cui si ispira, con riflessioni, emozioni, stupori. La citazione di Ferlinghetti in apertura giustifica questa passione, perché la grande poesia sparge semi come un girasole impazzito di luce: “Un girasole impazzito di luce/sparge semi di poesie. Alcuni germinano”(Americans, III).

     Talora scopre qualcosa che li unisce, ma emerge soprattutto ciò che li differenzia, che li contrappone, e in questo modo lei si conosce nel profondo e si svela: “M’abbuio/di finito”(Sera) sono infatti due versi rivelatori, che risuonano, persi nello spazio della pagina bianca, come una potente dichiarazione di sé, per cui non si fatica a trovare una corrispondenza nelle parole dedicate alla Dickinson: “Tutta la vita/in una sfera -polpa/e succo con l’acerbo/il tempo dato/senza dolcezze-,/arido allegare,/poi un continuo di pioggia “(Pienezze).

     I poeti rompono la sua solitudine interiore, portano linfa vitale, e il  fare poesia la solleva dal quotidiano, perché “Ci vuole uno svolazzo/di parola/sdrucciola a dare abbrivio/al giorno inerte”(Un po’ di leggerezza). Ma il verso deve possedere determinati requisiti “Purché siano parole e abbiano il suono/d’un corso d’acqua dal filone lento/-un canale fra i campi di coltura:/il ciglio d’erba, poi la cavedagna,/i pioppi ad ombreggiare…Uno scorrere uguale, levigato…(Autoipnosi). E’ una definizione di poetica confermata in questi versi: “Occorre un’alternanza/al ritmo ch’è disteso/in eguale respiro,/una corta misura/per l’affanno/che prende alle salite” (Amant alterna Camoenae),

     Così lei dialoga con i poeti chiamandoli familiarmente per nome: “Alda,/m’inventerò le tue collane/per coprire l’ingombro/-ormai- del petto/e la tristezza/delle mie camicie(Vezzi).

     L’elenco è molto lungo: Baudelaire, Brecht, Carducci, D’Annunzio, Dickinson, Eliot, Lorca, Gozzano, Luzi, Montale, Ovidio, Pascoli, Saba, Sbarbaro, Rebora, Shakespeare, Dylan Thomas, Ungaretti, Woolf, Yeats.

    Baudelaire le fa contrappore “l’albatro regale” al proprio “Non volo/ e neanche canto/ma starnazzo./gallina dunque/il genere d’uccello” (Autoconsiderazione). D’Annunzio le regala “fresche e dolci” parole nella sera: “Senza mente/-senza il nucleo di ferro-/in leggerezza/e musica di seta/mi distendo” (La mia sera).

     Eliot la riporta indietro nel tempo e solo ora riconosce “Quella specie d’ossimoro/-profonde/memorie e desiderio…/non sembrava/crudele più di tutti i mesi/aprile” (Vecchi appunti), ed allo stesso tempo la guida ad una considerazione, sia pure altamente simbolica, sui nostri giorni: “Darle acqua, sì,/acqua che va portata/da lontano/-che non ha pioggia/la terra desolata/né sorgenti”(Pace ineffabile).

     F. G. Lorca è fissato nella morte con le ferite aperte: “Bocche di melegrane/al torso, ai fianchi” (Figurato. Ainadamar, 19 agosto 1936). Luzi compare, tra l’altro, in un tenero ritratto: “Uno sguardo/affondato nei calanchi/di rughe da folletto/millenario/ed un sorriso magro/-un tratto fino”(Ritratto estremo). Di Montale -per cui lei nutre una profonda venerazione- rende il riarso e la luce della terra ligure: “Vorrei portarti/un grigio sasso scabro/che ti rammenti/il secco delle canne/e l’ombra stinta,/il velo degli abbagli/vibrati e il crisocalco/delle onde”(Le solite arsure). Salvo poi riportare, per contrapposizione, uno sguardo impietoso su di sé e sulla propria mancanza di ispirazione: “Inutile la cerca/d’un umido che gema/nello scavo,/per quanto a proda/guadagnata al mare” (Satura). E addirittura sentirsi rifiutata dal poeta, come in una negazione della propria poesia: “Oggi ti siedo/ accanto, mentre sguardi/vago, s’una crepidine/di roccia/frangente[…]ti volgi con un’aria/infastidita…(Fan).

    Quella di Eliana Favilla è una poesia dal ritmo pacato, ricca di rimandi culturali, densa di simbologia, dal registro linguistico ampio e vario, infatti recupera l’inglese, lo spagnolo, il latino, ma attinge anche dal parlato: compaiono parole come la giumella, la cavedagna, l’attaccagno, i triboli; aggettivi come biava, tecchio, cascaticci, dolco, sdutto, mencio. Una poesia che si esprime attraverso una ricchezza di fiori, erbe, piante, acque - elementi costanti della ispirazione della Favilla. Alcuni titoli della intera raccolta contengono una lieve autoironia.

      La raccolta è suddivisa in tre parti: Le parole lucenti, Semi di girasole, Gli amici lucenti, quest’ultima sezione con versi dedicati agli amici vicini per comune sentire e creatività.

     Chiudono come in un ossimoro, accanto a tanta luce, questi versi di rimprovero alla vita e di apertura al sogno: “Hai rotto tutte le/promesse, m’hai negato,/eppure ancora canto/e volo e sogno./vado sull’isola/come Peter Pan,/nel posto alieno/delle mie vaghezze/ Who sees enough/in his duress/ oh, Edwin-/ may go as far…/…as far as dreams/have gone”(Edwin Arlington Robinson, Hillcrest). Chi vede abbastanza nella propria costrizione/può andare lontano quanto i sogni.

 

Eliana Favilla, Semi di girasole, Bandecchi &Vivaldi Editori Stampatori, 2022, pag. 144.

 

 

 

 

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