di Gianni Quilici
Nel 1987 moriva, una mia amica, Anna Maria Lapini. Due anni dopo scrivevo su una rivista “Il grande vetro” su di lei, attraverso la pubblicazione di due poesie. Ho guardato sul web. Non c’è niente su di lei. E queste poesie meritano di essere ricordate. Così le ho ritrovate e le pubblico su L. R., senza cambiare (quasi) niente.
Anna
Maria Lapini è morta. Due anni fa. (Oggi
sono 36 anni)
Per un
male incurabile. A soli 35 anni.
Quando la
morte era ancora lontana da lei.
Quando
ancora la vita era aperta davanti a lei.
Perché la
esplorava (la vita) e si appassionava e la cambiava e si trasformava.
Lentamente
tendeva a farsi più libera a levarsi laccioli di dosso.
Per
questo con lei si poteva cominciare di nuovo, riprogettare, non c’erano limiti
aprioristici.
Ho
davanti queste due poesie di Anna Maria Lapini. Non sono un critico letterario ( se non per un
irriducibile gusto estetico). Le leggo attraverso i suoi occhi, che erano
belli: azzurri e concentrati, guardavano e
sapevano vedere.
Scrivo
impressioni di getto: nelle due poesie mi piace l’autenticità – come si
scriveva in tempi cattolico-esistenzialisti- che dice senza nascondersi; mi
piace la complessità che accumula dati, ma senza chiudere (ma anche momento di altri silenzi che ancora cercano il loro dirsi.); mi
piace la narratività con cui si intravedono fili, storie, personaggi ( il padre
su tutti); mi piace l’accumulo di pathos ( in Ho cercato il mio linguaggio); e di sentimento lieve e tenero (in E’ bello ritrovars i nei sorrisi degli amici)
che attraversa quei versi; mi piace la musicalità evidente; mi piace
quel “respiro” che dilata.
E’ BELLO RITROVARSI NEI
SORRISI DEGLI AMICI
E’ bello
ritrovarsi nei sorrisi degli amici
Parlare
con loro il linguaggio di sempre
riconoscere il suono di ogni parola
e andare al di là del suo senso.
È bello incontrarsi ogni sera o incontrarsi
di rado
perdere insieme il tempo, il sonno, la voglia
di fare
stare così, anche in lunghi silenzi, vicini o
di fronte
nascondersi o scoprirsi senza intenzione,
quasi per gioco
lasciarsi
con indifferenza e rivederci allo stesso modo.
è così
che fermi il tempo e lo fai tuo.
HO CERC
ATO IL MIO LINGUAGGIO
Ho
cercato il mio linguaggio
negli
incanti di sonore parole.
Ho
passato i giorni a riscrivere libri.
Con
sgomento ricercavo in lontani mattini
quel
fluido dirsi delle parole
che la
sera sorprendeva il mio essere quieto
libero ora dalle paure
e dal peso dell’antico silenzio
che mio
padre contadino
rompeva solo con parole essenziali
timorose
di farsi discorso.
Ma quando
il mattino il linguaggio ritornava
rapporto sociale
esperienza
di una identità contraddittoria e colpevole
le parole
perdevano la sicura armonia della sera
e con la difficoltà del loro dirsi
Incontravano
ancora il silenzio.
Ora che ho imparato a parlare
che le
parole hanno col potere un rapporto sicuro
e sono anche un linguaggio che in sé cerca
e ritrova il suo incanto
ora la parola è potere
potere
aggressivo e censorio, lucido e castrante,
è gioco,
riflessione, politica, poesia, persuasione, letteratura, critica
è la tela
di ragno della mia esperienza
ma anche
momento di altri silenzi
che
ancora cercano il loro dirsi.
da “Il grande vetro” 99
aprile-maggio 1989
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