di Marisa Cecchetti
Fondato nel 1896 da abitanti di San Ferdinando che
lo avevano abbandonato per liberarsi dalla tirannia di un marchese padrone di
tutto, il piccolo borgo di Eranova era nato in una zona incolta affacciata sul
mare, poi si era sviluppato grazie alla laboriosità dei suoi abitanti e ai
risparmi di chi era andato “nella Merica bona”, investiti al ritorno in terra e
mattoni.
Eranova era diventata un giardino di agrumeti,
distese di olivi e di alberi da frutta; affacciata su un mare, “il più bello di
tutti”, aveva visto lo sviluppo del turismo e lì si viveva felici, con la
sagoma dello Stromboli davanti agli occhi, verso il tramonto.
Ma all’inizio degli anni ’70 la Cassa del
Mezzogiorno, con quello che fu conosciuto come il pacchetto Colombo, stabilisce di investire
somme ingenti nella costruzione del quinto polo siderurgico e del porto di
Gioia Tauro, con la promessa di dare lavoro a parecchie migliaia di lavoratori,
riportando in Calabria anche gli emigrati. Proprio Giulio Andreotti, allora
Presidente del Consiglio, nella commemorazione del 25 aprile del 1975, pone la
prima pietra di un polo siderurgico che non nascerà mai - responsabile anche la
crisi del settore di quegli anni -, il porto di Gioia Tauro non vedrà una nave
fino al 1993, e dopo servirà “al mondo, all’Italia, forse alla criminalità, ma
poco allo sviluppo della Calabria”.
Carmine Abate dà vita a due protagonisti, Nina e
Lorenzo, che si sono conosciuti all’Università di Bari, e segue il percorso di
Eranova da comunità unita e collaborativa fino alla sua disgregazione e alla
fine, con la gente divisa tra chi
aspetta lo sviluppo promesso e il lavoro, e chi vuole salvare il paese,
subodorando la corruzione e gli interessi di chi si riempirà il portafoglio.
Eranova e una parte della vicina San Ferdinando saranno distrutte, saranno sradicati
settecentomila alberi da frutta, abbattute le case, costretti gli abitanti a
trasferirsi, impossibile l’accesso alla spiaggia, saranno costruiti cinque
chilometri di banchina portuale, poi arriva il mare a invadere la terra, gli
orti e gli agrumeti.
Nina lotta come una leonessa perché le ruspe non avanzino, per salvare la
bellezza della sua terra, con lei è il nonno, mastro Cenzo, che ha fabbricato
tante case di Eranova, vive dei proventi di un esteso agrumeto e cura l’orto
come un giardino. Nella sua terra c’è l’arancio più vecchio di Eranova, quello
che era già sul terreno deserto quando arrivarono i primi abitanti, rimasto a
simbolo delle loro origini e della loro avventura.
Abate unisce la verità storica alla propria
autobiografia, modellando tutto all’interno della finzione letteraria, in un intreccio
che tiene il lettore in attesa, con una alternanza continua di Italiano e
dialetto. Ne risulta un romanzo corale, con personaggi pieni di passione che prendono
vita intorno a Nina e Lorenzo, bambini, giovani, anziani. Si scopre che le
infrastrutture mancano e le strade di collegamento sono difficili, ci si
schiera subito dalla parte di Nina che non si stanca di ripetere che i soldi
della Cassa del Mezzogiorno non porteranno i benefici promessi, ma intanto si
sente il fascino di quelle tavole apparecchiate che hanno sapori antichi e
buoni, mentre il profumo delle zagare arriva anche dentro i sogni, e il mare,
con il pennacchio dello Stromboli sullo sfondo, rimane come simbolo del rischio
e della libertà.
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