17 gennaio 2024

“Un paese felice” di Carmine Abate

 

di Marisa Cecchetti

        Scrittore nato in Calabria a Carfizzi, un paese italo albanese che conserva la lingua arbëreshë e gli usi e le tradizioni dell’Albania, Carmine Abate è emigrato giovane ad Amburgo e risiede attualmente in Trentino; il sud e la Calabria gli sono rimasti nel cuore, lo dimostra, tra gli altri, Un paese felice, in cui si fa portavoce della storia e della fine del paese di Eranova, nel comune di Gioia Tauro.

      Fondato nel 1896 da abitanti di San Ferdinando che lo avevano abbandonato per liberarsi dalla tirannia di un marchese padrone di tutto, il piccolo borgo di Eranova era nato in una zona incolta affacciata sul mare, poi si era sviluppato grazie alla laboriosità dei suoi abitanti e ai risparmi di chi era andato “nella Merica bona”, investiti al ritorno in terra e mattoni.

        Eranova era diventata un giardino di agrumeti, distese di olivi e di alberi da frutta; affacciata su un mare, “il più bello di tutti”, aveva visto lo sviluppo del turismo e lì si viveva felici, con la sagoma dello Stromboli davanti agli occhi, verso il tramonto.

         Ma all’inizio degli anni ’70 la Cassa del Mezzogiorno, con quello che fu conosciuto come il pacchetto Colombo, stabilisce di investire somme ingenti nella costruzione del quinto polo siderurgico e del porto di Gioia Tauro, con la promessa di dare lavoro a parecchie migliaia di lavoratori, riportando in Calabria anche gli emigrati. Proprio Giulio Andreotti, allora Presidente del Consiglio, nella commemorazione del 25 aprile del 1975, pone la prima pietra di un polo siderurgico che non nascerà mai - responsabile anche la crisi del settore di quegli anni -, il porto di Gioia Tauro non vedrà una nave fino al 1993, e dopo servirà “al mondo, all’Italia, forse alla criminalità, ma poco allo sviluppo della Calabria”.

        Carmine Abate dà vita a due protagonisti, Nina e Lorenzo, che si sono conosciuti all’Università di Bari, e segue il percorso di Eranova da comunità unita e collaborativa fino alla sua disgregazione e alla fine, con la gente  divisa tra chi aspetta lo sviluppo promesso e il lavoro, e chi vuole salvare il paese, subodorando la corruzione e gli interessi di chi si riempirà il portafoglio. Eranova e una parte della vicina San Ferdinando saranno distrutte, saranno sradicati settecentomila alberi da frutta, abbattute le case, costretti gli abitanti a trasferirsi, impossibile l’accesso alla spiaggia, saranno costruiti cinque chilometri di banchina portuale, poi arriva il mare a invadere la terra, gli orti e gli agrumeti.
Nina lotta come una leonessa perché le ruspe non avanzino, per salvare la bellezza della sua terra, con lei è il nonno, mastro Cenzo, che ha fabbricato tante case di Eranova, vive dei proventi di un esteso agrumeto e cura l’orto come un giardino. Nella sua terra c’è l’arancio più vecchio di Eranova, quello che era già sul terreno deserto quando arrivarono i primi abitanti, rimasto a simbolo delle loro origini e della loro avventura.

         Abate unisce la verità storica alla propria autobiografia, modellando tutto all’interno della finzione letteraria, in un intreccio che tiene il lettore in attesa, con una alternanza continua di Italiano e dialetto. Ne risulta un romanzo corale, con personaggi pieni di passione che prendono vita intorno a Nina e Lorenzo, bambini, giovani, anziani. Si scopre che le infrastrutture mancano e le strade di collegamento sono difficili, ci si schiera subito dalla parte di Nina che non si stanca di ripetere che i soldi della Cassa del Mezzogiorno non porteranno i benefici promessi, ma intanto si sente il fascino di quelle tavole apparecchiate che hanno sapori antichi e buoni, mentre il profumo delle zagare arriva anche dentro i sogni, e il mare, con il pennacchio dello Stromboli sullo sfondo, rimane come simbolo del rischio e della libertà.

 Carmine Abate, Un paese felice, Mondadori Editore 2023, pag. 264.

 

 

 

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