Modelli e
imitazioni
Fu l’eroe di Conan Doyle il
modello su cui si plasmarono i primi investigatori letterari italiani. Sherlock
Holmes giunse in Italia nel 1895 per iniziativa della casa editrice Verri che
raccolse in un unico volume tre racconti della saga del detective di
Baker Street. Quattro anni più tardi “La Domenica del Corriere” ne pubblica altri episodi
quasi in contemporanea con le edizioni originali che apparivano in Inghilterra
a puntate sullo “Strand Magazine”. Visto il successo delle storie e del
personaggio, gli editori italiani fecero a gara nel pubblicare inediti e
ripubblicare i romanzi di maggiore apprezzamento presso i lettori. Escono così
diverse edizioni di alcuni tra i romanzi più famosi dello scrittore inglese
come Uno studio in rosso e Il segno dei quattro che erano rimasti
esclusi dall’iniziativa della “Domenica
del Corriere” e che solo in seguito saranno editati nei singoli volumi della
collana Il Romanzo Mensile. Allo scoppio del primo conflitto mondiale in Italia
erano apparsi tutti i testi sherlockiani che hanno avuto un effetto di
trascinamento anche sugli altri testi di Conan Doyle, quelli rivolti
all’avventura e al mistero come Un mondo perduto, La mummia rediviva,
Le avventure del colonnello Gerard…
Ovviamente non potevano
mancare gli imitatori e già nel 1902 Dante Minghelli Vaini, con lo pseudonimo
di Donan Coyle pubblica uno Shairlock Holtes in Italia, una raccolta di
sei racconti ambientati nel Bel Paese e narrati in prima persona da un certo
dottor Maltson.
Imitazione e confronto li
ritroviamo anche sui fascicoli dedicati alla saga del poliziotto
italo-americano Joe Petrosino che iniziano ad uscire a partire dal 1909 con la
dicitura “Joe Petrosino–Il Sherlock Holmes d’Italia”: per gli autori e i
lettori del tempo il personaggio di Conan Doyle è sinonimo di investigatore.
Nel 1911 Umberto Cei pubblica due romanzi, Un dramma alla stazione e Il
segreto della cassaforte, che hanno come protagonista un personaggio dal nome
di sicura aristocrazia italiana, Riccardo De Medici che sembra incarnare sia i
lineamenti raziocinanti di Holmes, sia quelli dinamico-attivistici di
Petrosino.
Poliziesco e feuilleton
Ma le origini del
poliziesco tricolore sono senz’altro precedenti a questi fenomeni d’imitazione
e affondano le loro radici in altri generi letterari con cui convivono e di cui
si alimentano. Per esempio, il feuilleton:
e quando se parla, almeno nel nostro Paese, si dice di Francesco Mastriani
(Napoli 1819-1891), scrittore popolarissimo di romanzi d’appendice, circa un
centinaio, nei quali ritrasse le miserabili condizioni di vita della plebe
napoletana, attraverso la narrazione di vicende torbide, spesso desunte dai
fatti più clamorosi della cronaca nera e modellate sulle pagine parigine di Sue
e Balzac . Fra i suoi titoli più famosi La cieca di Sorrento, 1852; I
vermi, 1862-64; I misteri di Napoli, 1875; La sepolta viva,
1889.
Non si trascuri, poi, nelle
ricerca delle origini di una letteratura poliziesca nazionale la sperimentazione
degli autori della Scapigliatura, tra i quali merita di essere ricordato Emilio
De Marchi (Milano, 1851 – 1901). Laureatosi in lettere nel 1874 presso
l’Accademia scientifico-letteraria della città lombarda, fu insegnante liceale,
e docente di stilistica presso l’Accademia dove aveva studiato. L’attività
letteraria del De Marchi ebbe inizio nel clima della Scapigliatura milanese,
evidente nel primo romanzo, Due anime in un corpo, 1878, carico di
ossessioni e inquietudini: il protagonista, Marcello, rivive l’esistenza di un
amico assassinato, il violinista Lucini, fino ad amare Marina, la donna per la
quale il Lucini era stato ammazzato, a lui sconosciuta. Capolavoro del De
Marchi è considerato Demetrio Pianelli, 1890, in cui secondo i
modi del realismo, in una prosa dimessa e cordiale, descrive le vicende e gli
affanni di quel nuovo ceto, la piccola borghesia impiegatizia che l’unità
nazionale aveva portato alla ribalta e moltiplicato: in questo testo, poi,
accanto al motivo sociale si aggiunge anche quello della passione amorosa.
Sulla linea della grande tradizione letteraria lombarda, che, da Parini a
Manzoni sentiva con forza il senso della responsabilità morale e civile dello
scrittore, con Il cappello del prete, 1887, De Marchi intercetta, forse non
del tutto consapevolmente, alcune procedure tipiche del romanzo poliziesco.
Uscito prima a puntate nell’”Italia”, l’anno dopo sulle pagine del “Corriere di
Napoli” e poi in volume, Il cappello del prete prende lo spunto da un
fatto di cronaca nera, l’omicidio di un sacerdote, e si muove
programmaticamente nell’ambito della letteratura d’appendice, non disprezzata,
ma anzi colta come occasione per parlare al grande pubblico. Così scrive De
Marchi nell’avvertenza del romanzo: “L’autore entrato in comunicazione di
spirito col gran pubblico, si è sentito più d’una volta attratto dalla forza
potente che emana dalla moltitudine; e più d’una volta si è chiesto in cuor suo
se non hanno torto gli scrittori italiani di non servirsi più che non facciano
di questa forza naturale per rinvigorire la tisica costituzione dell’arte
nostra. Si è chiesto ancora se non sia cosa utile e patriottica giovarsi di
questa forza viva che trascina i centomila al leggere, per suscitare in mezzo
ai palpiti della curiosità qualche vivace idea di bellezza che aiuti a
sollevare gli animi. L’arte è cosa divina; ma non è male di tanto in tanto
scrivere anche per i lettori”. Se non c’è ancora il poliziesco, compare lo
spirito che ne è all’origine: una letteratura insieme popolare e colta,
accessibile e vocata al ragionamento induttivo-deduttivo.
Carolina e Italo
Non si può trattare di
letteratura d’appendice in Italia senza soffermarsi su Carolina Invernizio,
(1851 – 1916), l’”onesta gallina della letteratura”, come ebbe a definirla con
qualche severità Antonio Gramsci. Trasferitasi in giovanissima età dalla natia
Voghera a Firenze, dove seguì gli studi magistrali e visse per la maggior parte
della sua esistenza, pubblicò oltre 120 romanzi, densi di situazioni patetiche
e terrificanti, scritti in uno stile sciatto ed approssimativo sul modello dei feuilletons
di Xavier de Montépin e Ponson du Terrail. Avversata dalla critica, messa
all’Indice dal Vaticano, le sue opere raggiunsero tirature incredibili per i
tempi. Il successo di pubblico di questa scrittrice rappresenta un fenomeno su
cui gli studiosi dei fatti letterari hanno cominciato a riflettere negli ultimi
trent’anni, ritrovando nell’autrice la degradazione del romanzesco
dell’Ottocento che si manifesta in un intreccio di sadismo e sentimentalismo
che esercitò una funzione gratificante presso il vasto pubblico della
letteratura di consumo. Circa il giudizio secondo cui all’Invernizio
spetterebbe il ruolo di progenitrice del poliziesco di casa nostra, Folco
Portinari scrive che soprattutto in alcuni romanzi come Il bacio d’una morta,
“l’impianto generale, anche a livello di trama, può essere già quello del
giallo investigativo” Per Anna Nozzoli “siamo… più vicini al mérvilleux
expliquè di Ann Radcliff che non alle strutture lineari del romanzo
poliziesco” e sarà necessario attendere “i romanzi del primo decennio del nuovo
secolo, perché l’Invernizio metta a punto in modo più preciso l’impianto del
racconto investigativo, anche se naturalmente il suo giallo resterà
sempre denso di elementi estranei, costruito con l’architettura mista di detection
e di feuilleton che era già stata caratteristica di Gaboriau o
addirittura del primo Sherlock Holmes”
Sempre per la gioia dei
ricercatori di patenti nobili per il detective
story italiano, ricordiamo che anche Italo Svevo (Trieste 1861- Motta di
Livenza 1928), negli anni del suo apprendistato letterario, si cimentò col
poliziesco. Merita di essere ricordato L’assassinio di via Belpoggio,
pubblicato sul quotidiano irredentista triestino “L’Indipendente” dal 4 al 9
ottobre 1890 e considerato come l’esordio ufficiale di Svevo alla scrittura.
Giorgio, il protagonista, corrisponde a pieno alla galleria degli inetti
sveviani: è un assassino quasi per caso, più per colpa di Antonio, la vittima
che ostenta la propria ricchezza, che per una natura portata al male. Lo
perderanno i sensi di colpa, le incertezze, le contraddizioni nel proprio
comportamento criminale: pagine che sanno soprattutto di Poe (Il cuore
rivelatore) e Dostoevskij.
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