di Daniele Guasco
Se ci si interroga sulla
funzione del linguaggio, lo schema semiotico tradizionale si rivela
insufficiente.
Lo svela Lacan:
“[…]
Infatti la funzione del linguaggio non è quella di informare ma di evocare”.
(p. 152, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in La Cosa Freudiana)
Bisogna insistere sul fatto che
il linguaggio è un mazzo di carte prefabbricato, indifferente alla
particolarità dell’individuo, ma ancor di più è necessario mettere in luce che
la parola è un atto individuale, una praxis
che ci mette costantemente in discussione, manifestazione del nostro desiderio
metafisico. Si tratta di un desiderio di ciò che è completamente differente da
noi, di ciò che ci trascende ed è inafferrabile, che scorgiamo in quel languido
nulla che sono gli occhi, che troviamo nella visione epifanica del volto
dell’interlocutore. Bisogna mettere in rilievo che la parola è un dono.
Questa evocazione dell’altro,
quest’appello al differente, trova il suo paradigma centrale nel “grido nella
notte” che tutti noi siamo stati da bambini, nel buio della nostra stanza. Un
grido che chiama l’amore.
Il gioco del linguaggio si
gioca su due piani: quello dell’emissione di suoni – la cui significazione è
similare a quella del grido – e quello del contenuto logico e concettuale che
questi suoni codificati esprimono. Di qui due possibilità di espressione:
quelle che Lacan chiama Parola Piena
e Parola Vuota.
La Psicoanalisi è una talking cure e conferisce all’esperienza
della comunicazione la sua linfa vitale.
Lo psicoanalista deve guidare il
paziente nella comunicazione per far emergere quelle verità rimosse che si sono
rese testi leggibili solo all’analista: i sintomi. Una volta emerse, devono
poter essere sfruttate per un riordinamento della biblioteca che è la storia
del soggetto, affinché tutto assuma un senso. In questa direzione il linguaggio
assume una funzione strutturante.
Il ruolo dell’analista è
precisamente quello di guidare questa (ri)strutturazione, attraverso il suo
silenzio. E quando spezza il silenzio lo fa solamente per permettere al
paziente di effettuare la sua cura, di attuare la sua storicizzazione
attraverso l’esercizio della parola.
Questa funzione strutturante
del linguaggio è possibile perché la parola non si contenta di costituirsi come
evocazione: essa infatti ha significato nella risposta dell’altro. Ancora di
più: il discorso dell’altro stesso è l’inconscio. L’analista quindi fornisce un
significato al discorso del paziente attraverso il suo ascolto e attraverso la
sua presenza, attraverso la sua guida. La grande responsabilità dell’analista
secondo Lacan, quindi, non è solo
quella di approvare o rifiutare il discorso del paziente, ma quella di
riconoscerlo o abolirlo come soggetto.
Il soggetto ha quindi due
possibilità di cui abbiamo accennato poco fa: lo scopo della comunicazione è il
riconoscimento e la comunicazione stessa è un appello. Se la parola non va oltre
non si carica di un significato concettuale che faccia emergere la verità
intima e singolare del soggetto: è Parola Vuota. Se invece fa emergere la
verità storica del paziente, è Parola Piena e dà la possibilità all’analista
non solo di riconoscere l’appello ed esservi presente, ma anche di aiutare il
paziente a ricostituirsi come soggetto con le proprie forze.
Quanto alla coazione a ripetere
e al perpetuarsi delle vicende tragiche nella storia del soggetto, Lacan rivela la funzione simbolica
dell’automatismo di ripetizione: esso infatti non mira che all’eternizzazione
del desiderio attraverso il simbolo. E’ come desiderio di morte infatti, che il
soggetto si afferma per gli altri. Il caso di Empedocle, considerato da Freud
paradigmatico riguardo l’istinto di morte, mostra come il filosofo,
gettandosi nell’Etna, lasci per sempre presente nella memoria degli uomini il
suo atto simbolico.
La Psicoanalisi quindi, si
occupa di dare al desiderio del soggetto la sua mediazione simbolica attraverso
la quale perforare il circolo della ripetizione, il cui limite estremo è la
morte.
Questa la funzione e il campo
della parola e del linguaggio in psicoanalisi, dove la parola non è più
messaggio, ma dono ed appello.
Jacques
Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio
in psicoanalisi, in La cosa freudiana
e altri scritti. Psicoanalisi e linguaggio, Einaudi, Torino, 1972,
pp.83-178, euro 8
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