Mattina incerta
tra nuvole, pioggia e luce. Cosa scegliere, se non un viaggio, un viaggio breve
nel tempo e nello spazio, in un paese piccolo, visto allora, da rivedere oggi,
dopo molto tempo?
Colazione, il manifesto e via.
11.30
Cerco le strade,
le più secondarie nella domenica spenta: Lammari, Monte S. Quirico, strada di S. Alessio, che sbuca sulla
Sarzanese e a Farneta, strada a destra che sale verso Chiatri e, dopo qualche
Km, ecco Stabbiano, appena un po’
più in alto della strada.
12.00
Da una siepe di
alloro nella nebbiolina che avvolge colline, che si sovrappongono, i fusti di
alberi nudi, una casa bianca sfumano come fossero quadro impressionista.
Una campana di
qualche chiesa rintocca il tempo lontana come un’eco dolente di un suono già
sentito e poi perso.
Ad un passo un bel
pozzo con tettoia, residuo archeologico della società contadina, lasciato un
poco a se stesso, mimose già fiorite che risplendono gialle nella mattinata
grigia, una casa ben ristrutturata e un vialetto che porta alla chiesa con bel
campanile merlato.
Dalla chiesa una
stradina asfaltata, tra una vegetazione alta e fitta sulla collina, porta ad un
gruppo di case, con una loro bellezza, perché recuperate senza essere stravolte
e da lì la stessa stradina arriva ad un
altro minuscolo gruppo di case … e Stabbiano sembra finire.
Cosa manca ad uno sguardo tutto di superficie?
Non i cani, liberi
o legati, che si fanno vedere e sentire. Manca una centralità che raccolga, che
dia quel senso di comunità, che soprattutto dà a un paese, a una città o
cittadina il suo cuore.
C’è invece lo
sguardo verso uno spazio aperto: le colline, gli alberi, altri paesi, il cielo
sopra di noi.
Stabbiano. Domenica 15 febbraio 2015.
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