Eugène Delacroix |
Giovinetto liceale in preda agli eroici furori di una giustizia sociale purchessia, me la immaginavo così la Storia: ruscellante di forme, morbida ma decisa emancipatrice, vocata alla libertà, alla giustizia, alla fraternità tra le genti tutte dell'orbe terracqueo.
E i fatti, almeno per un po', sembrarono darmi ragione: erano gli “anni formidabili” e la Rivoluzione avanzava a nord come a sud, all' est come all'ovest, nel mio villaggio e in quelli lontani. Sarebbe stato sufficiente continuare a occupare scuole e facoltà universitarie, fabbriche e terreni agricoli abbandonati, stampare al ciclostile migliaia e migliaia, magari milioni, di volantini da distribuire agli oppressi in tante albe caliginose, diffondere pazientemente la stampa buona e giusta e poi parlare, discutere, dibattere, disputare, contraddire e negoziare perché, sia pure con qualche fatica, si realizzasse, qui e altrove, la desiderata armonia sociale.
Le cose poi come è noto non sono andate proprio così. A farmi dolorosamente ricredere ci pensarono la strategia della tensione e i fatti del Cile, il terrorismo nero e quello rosso, Reagan e il craxismo, la marcia dei quarantamila e l'omologazione galoppante di quella classe operaia che, secondo i voti miei e di quelli come me, avrebbe dovuto “dirigere tutto”.
La caduta del Muro di Berlino mi trovò quindi già deluso e irrimediabilmente senile, incapace di comprendere il rifiorire degli antichi egoismi nazionalistici e i nuovi fondamentalismi economici e religiosi. Sarei diventato un attempato signore politicamente riottoso e nostalgico? La vittima, ne conosco tante, di una rabbia perenne e sterile, un patetico e recalcitrante abitatore del nuovo secolo e del terzo millennio? Per dirla con un aggettivo oggi di uso corrente, un “rottamato”?
Potevo diventare un leghista, un lettore di “Libero” o del “Giornale”, un seguace, anzi un follower, di Renzi, oppure un acido stronzo totale che allarga alle intere 24 ore i, talora legittimi, soli 5 minuti di fascismo quotidiano che mi pigliano oggi... Invece a me mi hanno salvato le storie. Quanto più la Storia grande mi deludeva, tanto più le storie, vere di vita o, perché no, d'invenzione, mi permettevano di attingere a sorgenti perenni e straordinariamente fresche di umanità e intelligenza, condivisione e solidarietà, utopia e pratico buon senso: storie di gente che non ha mai vinto, ma neppure è mai stata definitivamente sconfitta e ha comunque lasciato segni incancellabili. Se ne stanno lì, le storie, abbandonate, nel Grande Deposito e sarebbe sufficiente raccoglierle, basta scavare neppure tanto in profondità, spolverarle, restituire loro qualcosa dei tratti di un'antica, nobile dignità. Collegarle tra loro, intrecciarle, aggiornare il linguaggio e riproporne i valori morali e narrativi agli abitatori della nostra contemporaneità, fiduciosi nella loro intelligenza. Storie lievi e per questo più efficaci per arrivare al cuore dell'esistenza, per risvegliare, almeno un po', le coscienze narcotizzate.
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