di Dafne
E’ interessante il
percorso artistico a ritroso di Pablo Picasso, iniziato nel 1906 quando si
scoprì affascinato dalla scultura africana e polinesiana. Ce lo spiega lui
stesso in “Una forma di magia – Pensieri sull’arte”, uno di quei piccoli
quaderni con testi inediti e rari del Novecento editi da Viadelvento Edizioni.
I nuovi ragionamenti sulla sua ispirazione e
sulla sua vocazione artistica nascono in seguito ad una visita al Museo
Trocadero. In quel museo Picasso provò sensazioni contrastanti che lo spinsero
a chiarire a se stesso la sua natura artistica e la sua poetica. Fu come una
rivelazione da cui scaturì una nuova spinta, gli fu possibile riconoscere a se
stesso un sotterraneo spirito di rottura rispetto ai canoni fino a quel momento
adoperati:
“Quando ho
scoperto l’arte negra, e ho dipinto quel che si dice la mia epoca negra, era
per opporsi a ciò che nei musei era indicato come “bellezza””.
In questa frase
credo che si celi tutta la forza emotiva di Picasso, la sua originalità , la
nascita della sua capacità espressiva. La
sua è la necessità di opporsi a quello che comunemente riteniamo
‘bellezza’, non per eluderla o non riconoscerla, ma per trovarne una manifestazione
diversa, scomponendo interiormente i flussi sensoriali ed emozionali di una
percezione per riproporli trasfigurati in una vera opera interiore, che tiene
conto di tutti gli aspetti di un vissuto privato. E l’artista può restituirceli
senza necessariamente arrivare a farci comprendere la sua visione, piuttosto a
farci vittime di un rapimento. Ancora le
sue parole :
“Capire! Si tratta proprio di capire!…da
quando un quadro è una dimostrazione matematica? Non è destinato a spiegare (a
spiegare cosa? mi chiedo) ma a far nascere delle emozioni nell’animo di chi
osserva. Bisogna fare in modo che un uomo non resti indifferente davanti a
un’opera d’arte, non passi gettando solo un colpo d’occhio negligente…Bisogna
che sussulti, si commuova […] dovrebbe essere strappato dal suo torpore, scosso,
afferrato alla gola affinchè prenda coscienza del mondo in cui vive e, perciò,
senta il bisogno di distaccarsene subito”.
Mi piace molto
quando Picasso afferma che non considera la pittura come un processo estetico,
ma una forma di magia che si interpone fra l’universo ostile e noi, come a dire
che la pittura, e l’arte in genere, non possono che derivare da una sensazione
di disagio nei confronti del mondo che ci circonda, da una sottile,
esistenziale sofferenza che porta, chi ne ha gli strumenti, a dare forma alle
personali paure e desideri per poterli, alla fine, esorcizzare. Questo vide
Picasso nelle maschere africane: non degli oggetti etnografici ma forme di mediazione tra gli uomini che le
avevano realizzate e le forze ignote, fonte di soggezione, da cui si sentivano
attorniati. Un modo per dominarle, per dominare ed esplicitare la propria
esistenza.
Un pensiero
affascinante, che ci avvicina alla sfera dell’ispirazione artistica di Picasso
e ci consente di avere uno sguardo più consapevole guardando le sue opere. Si
comprende bene, a questo punto, cosa intendesse quando negava che la sua
pittura soggiacesce a processi estetici ma fosse spinta da altre forze.
Come non fermarsi
a riflettere sull’intera sua personalità di artista quando afferma che “Les
demoiselles d’Avignon dovevano nascere quel giorno [il giorno della visita al
Trocadero], ma non certo a causa delle forme: perchè era il mio primo dipinto
di esorcismo”.
In questo dipinto
c’è stato chi ci ha visto i primi tratti di cubismo, ed è certamente così, e
chi ci ha visto gli influssi dell’arte negra, ma Picasso lo nega, lo nega nella
misura in cui rivendica di aver dipinto un naso di profilo in un volto di
faccia, con queste parole : ” Hai mai visto una sola scultura negra, una sola,
con un naso di profilo in una maschera di faccia?” Lui, realizzando questa tela, si è liberato
da qualche pensiero od ossessione da cui si sentiva posseduto, o forse da una
speciale forma di energia da cui altrimenti non poteva liberarsi.
Intuisco adesso,
se pur alla lontana, l’origine del fascino che scaturisce dai suoi ritratti,
l’anomalo senso di bellezza che producono, il percepire l’artista dentro alle
linee della persona ritratta, vedere i suoi occhi trasfigurati da una sensibilià altra,
sconosciuta, guardarla, osservarla, scomporla e ricomporla.
L’arte e la vita
si dipanano, nella vita dell’artista, influenzandosi continuamente, in un
tutt’uno indistinto: “Io dipingo come altri scrivono l’autobiografia. Le mie
tele, finite o no, sono le pagine del mio
diario, e in quanto tali hanno valore. Il futuro sceglierà le pagine che
preferisce. Non tocca a me fare la scelta”
Si ha l’immagine
di un uomo totalmente preso dalla sua vita-lavoro, indifferente all’aspetto
funzionale o estetico delle sue opere se dice “Sono giunto al punto in cui il
movimento del pensiero mi interessa più del pensiero medesimo”.
Da questa ultima
affermazione si intuisce quanto la pittura possa considerarsi (come le altre
arti) alla stregua della filosofia o della poesia che ci portano, quando
vogliamo soffermare il nostro sguardo e la nostra mente, a fare ogni volta un
passo avanti verso un pensiero più ricco e complesso. Si tratta di praticarle e
viverle nelle forme in cui a ciascuno è concesso.
Pablo Picasso. Una forma di magia – Pensieri sull’arte. Viadelvento Edizioni.
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