di Dafne
Una trentina di
pagine di riflessioni di Henri Matisse sono sufficienti per entrare nell’orbita
del pianeta Arte.
Questi piccoli quadernetti dell’editore Viadelvento (i
quadernidelvento – testi inediti e rari del Novecento) hanno un fascino
particolare, emanano un alone di preziosità, sembrano appena trovati su una
scrivania di studio di artista. Si tratta infatti di pensieri non ordinati,
senza necessariamente un filo logico, nati spontaneamente da riflessioni libere
che si arricchiscono per successive associazioni di idee, apposizione di
suggestioni. E noi che leggiamo ci troviamo così vicini all’immaginario
dell’artista che non ci rimane che stare silenziosi ad accettare religiosamente
le confidenze di ciascuno di loro. Nel caso di Matisse si tratta di personali,
intimi tentativi di spiegare il proprio specifico sentire nell’atto del creare,
come anche dell’intento riuscito di guardarsi all’opera con un occhio esterno
per dare una personale definizione, decrizione anche pratica, strumentale, del
fare arte. Vale la pena leggerne qualche stralcio:
“non bisogna
considerare il pensiero di un pittore come estraneo ai suoi mezzi, perché e’
solo nella misura in cui essi lo servono che quel pensiero ha un valore; e quei
mezzi devono essere tanto più completi (dico completi, non complicati) quanto
più il pensiero e’ profondo. Per me e’ impossibile distinguere tra il
sentimento che nutro della vita e la forma in cui lo traduco.”
E’ molto
interessante la distinzione che Matisse pone tra l’aggettivo completo e
l’aggettivo complicato, come anche il
concetto di sentimento della vita e traduzione di esso nella forma artistica
che sarà diversa, di volta in volta, per ciascun artista. Nei manuali di storia
dell’arte, ma anche di filosofia, dovremmo scontrarci con ragionamenti di
questo genere, usciti dalla mente di chi pratica forme di arte, e così forse,
verremmo educati al senso artistico ed alla comprensione dell’ispirazione, ci
abitueremmo all’idea che l’uomo necessita anche di spazi che esulino dal
contingente, e che consentano movimenti fisici e mentali che si distacchino da
una logica visione della realtà per avere invece impressioni visuali del mondo
che nascano da tipi di percezioni propri dell’esperienza artistica.
Inoltre, quante
volte ci siamo posti domande su cosa è l’arte? E quanto è bello poter adesso
riflettere sulle parole di un artista ormai totale, artista nella vita, ormai
forse sicuro di quello che pensa:
“Quel che sogno è
un’arte fatta di equilibrio, purezza e tranquillità, senza oggetti minacciosi o
angoscianti; un’arte che sia per chiunque lavori col cervello, ad esempio
l’uomo d’affari o il letterato, un lenitivo, un calmante della mente, qualcosa
di simile a una buona poltrona su cui riposare dalle fatiche fisiche“
Che parole! E come
non pensare all’arte contemporanea, che spesso invece è proprio rappresentata
da oggetti minacciosi ed angoscianti. Allora, forse, stiamo andando indietro
anzichè andare avanti nell’interpretazione del mondo che ci circonda? Allora,
quella che l’uomo di oggi definisce arte, lo è davvero? Probabilmente accade
più volte del necessario di chiamare arte attività produttive e manufatti che
in realtà ne sono lontani.
E con quanta
semplicità e naturalezza, paragona l’arte ad una buona poltrona! Senza nessun
timore reverenziale o falso ossequio. Questa metafora ci dimostra quanto l’arte
possa essere un bisogno di ciascuno, e quanto non sia necessario ammantarla di
un’aura di eccessiva sacralità o innavicinabilità.
E ancora, assai
affascinante l’approccio del pittore col proprio modello nell’atto di creare il
ritratto:
“Dipendo in modo
assoluto dal mio modello, che osservo in libertà e che solo più tardi mi decido
a fissare nella posa più rispondente al suo naturale. Quando prendo un modello
nuovo, è nel suo abbandono al riposo che indovino la posa che gli conviene e a
cui mi vincolo“
Alcune parole
utilizzate (dipendere, posa al naturale, vincolare) focalizzano i percorsi
mentali ed artistici del pittore, è molto bello pensare che il pittore si
vincoli al suo modello nell’abbandono al riposo di quest’ultimo, la pacatezza
dell’immagine suggerisce una ingenua infantile pace, propria dell’abbandonarsi
dei bambini, il riposo del modello potrà raggiungersi solo quando la fiducia
nello sguardo che ti scruta è totale. Questa è una indicazione precisa di
intenti oltre che di modalità di lavoro.
foto di Henri Cartier-Bresson |
E ancora parole
attualissime sul pregiudizio e sulla finalità dell’artista di esserne scevro:
“Vedere è già un
atto creativo che richiede impegno. Tutto ciò che osserviamo nella vita
quotidiana subisce, piò o meno, la deformazione prodotta dalle abitudini
acquisite, questione forse più tangibile in un’epoca come la nostra, dove
cinema, pubblicità e riviste ci impongono ogni giorno un cumulo di immagini già
predisposte, che nell’ordine della percezione sono un po’ come il pregiudizio
nella sfera dell’intelligenza. Lo sforzo che ci vuole per liberarsene esige una
sorta di coraggio; e questo coraggio non può mancare all’artista, che deve
vedere ogni cosa come fosse la prima volta“
Come non pensare,
dopo queste parole, che l’unico antidoto alla banalizzazione, anche per la
nostra società, sia proprio l’arte? Per
non abituarci alle immagini imposte dalle pubblicità, dalle riviste o da un
certo cinema, ora come allora, possiamo solo provare a riempirci le giornate e
gli occhi di immagini di opere d’arte. Da riflettere anche sulla parola sforzo,
e sulla parola coraggio. Senz’altro l’artista non manca nè dell’uno nè
dell’altro se artista lo è davvero, ma al giorno d’oggi anche l’uomo comune
dovrebbe averne per non venire sopraffatto dalle abitudini mentali imposte dal
contesto in cui viviamo, abitudini che ci portano a parlare, guardare,
ascoltare e percepire con la mente carica di pregiudizi.
E ancora un
illuminante concetto sui mezzi, e sulla semplicità:
“I mezzi che si
usiamo per dipingere non sono mai troppo semplici. Per parte mia ho sempre
mirato a diventare più semplice. La semplicità assoluta coincide con la massima
pienezza. E il mezzo più semplice per quanto concerne la visione, libera la
massimo grado la percezione dello sguardo. Alla lunga solo il mezzo più
semplice è efficace. Ma serve coraggio per diventare semplici, da sempre. Credo
che nulla al mondo sia più difficoltoso. Chi lavora con mezzi semplici non deve
temere di apparire banale.”
La semplicità come
abito mentale, un togliere gli orpelli che sviano dall’essenza per mirare
invece all’autenticità.
Henri Matisse. La visione Interiore. Via del vento. (I quaderni del vento). Euro 4,00.
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