nota di Gianni Quilici
E’ uscito in una collana fotografica di Repubblica un libro su Henri Cartier-Bresson. L’ho comprato subito, senza incertezze, sfogliandolo meccanicamente appena, nonostante che di libri suoi ne abbia parecchi e quasi tutte le foto ne possa trovare o in un volume o in un altro.
Per una ragione materialistica: la bella copertina solida con lui giovanissimo in azione, il pregio della carta, la grandezza e qualità della riproduzione delle foto, il buon prezzo.
Per una ragione grafica: la felice armonia tra immagine e parola, la scrittura ariosa sia nel carattere normale che gridato.
Per una ragione critica: l’introduzione di Stefano Bartezzaghi delinea un percorso scegliendo foto sulla base soprattutto di un dettaglio originale: l’importanza delle mani. Infatti in tutte le immagini queste ci parlano, sia in modo latente che evidente. Naturalmente c’è molto altro.
Per un piacere ludico: le foto sono una passerella di grandi creatori: letterati come Colette, Faulkner, Beckett, Camus, Capote, Sontag, Sartre; poeti come Pound, pittori come Matisse, Duchamp, Bacon; attrici come Marylin Monroe e Isabelle Huppert; psicanalisti come Jung solo per dare qualche esempio.
Per il piacere di conoscerlo: due interviste in cui emergono la poetica fotografica, l’umiltà e l’ironia, la sua libertà intellettuale, la sua vita in breve sintesi, la bibliografia dei suoi testi.
Ma a pensarci bene c’è una ragione più di fondo, che potrei sintetizzare in questo modo. Le foto di Cartier-Bresson non mi stancano, perché non si consumano. Perché toccano la verità di un attimo e la colgono con l’intelligenza estetica della forma. Una foto, quindi, che tocca il sentire, ma nello stesso tempo lo sguardo, la necessità per coglierne la complessità compositiva. Come osserva nell’intervista Cartier-Bresson “ bisogna guardare, e guardare è difficile”
Henri Cartier-Bresson. A cura di Stefano Bartezzaghi. La Repubblica. Euro 14.90
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