10 dicembre 2020

"Le separazioni d'argento" di Daniele D'Arrigo e Laura Guidugli

 

di Paolo Tommasi

Il buco nell'acqua sulla copertina, sospeso su intraducibili frammenti non si prelude certo al testo de Le separazioni d'argento, di Daniele D'Arrigo e Laura Guidugli. Esordienti, ma navigati autori lucchesi di lungo corso. Un debutto in cui traspare evidente l'agilità di profondersi in ritmi narrativi originali ed uno stile che ricapitola altre stagioni letterarie del novecento; in cui il gioco di ritrovare la biblioteca della nostra memoria, si sposa con quello di ricercare le ombre e le luci dell'esistenza o della riflessione di ogni lettore.

I frammenti latini rifratti e deformati da quel buco nell'acqua, casualmente attinenti una interminatam bibliothecam, non preludono a quel viatico esistenziale di sostanze cartacee, che riempiendo le stanze, divengono casa, e traslocando le trasformano in gusci, e vuoto. Non preludono a quel sapore di natura che fa da cornice alle riflessioni di Antonio, né piuttosto all'acqua stessa: in quel fiume delle intrecciate relazioni umane, che scorre tra le arcate di ponti invisibili o che si allaga, specchiando l'alpi a Lugano. Ritroveremo invece stagioni o fasi nel discontinuo loro tendersi nell'esistenza: tra un nuovo respirare o il cadere fatalmente in un uliveto; ora nell'abbraccio di quel lago, o l'apnea: nel gorgo di quello che succedendo, non ci trova all'altezza delle situazioni o fallibilmente troppo determinati. Piuttosto saremo investiti da quella forza di vivere che pur flebilmente, si rivelerà anche nella malinconia senza tristezza o nella gianica nostalgia di richiuse unioni, in cui sembra ancora possibile il poter cambiare strada. Oltre l'apparenze e l'ipocrisia di altre magre linearità accomodate sulla routine, non vive però in quelle separazioni, anche un mare di passioni negate e anelate, tempeste che in fondo rendono viva la vita?

Non sempre è necessario il punto interrogativo. Domande senza risposta. Domande che sono già risposte: o eternamente riposte in quell'angolo poco segreto e spesso indiscreto della natura umana. A partire dalla vita senza certezze, e quella sua tautologica (e fragilissima quando un gatto può traversarti la strada). In quel microcosmo resta il dilemma se le sanguinose cacce dell'esistenza, potranno mai pervenire ad un vegetarianesimo dell'anima o alla sua illuminazione: tra onanismi appena composti nella solitudine coniugale o la prostituzione in vece d'una assenza o presenza sentimentale, non sembra nascondersi la paura di aver coraggio. Mettersi a nudo senza alcun pudore: in questo senso vive nei protagonisti una maturità introspettiva, tragico contrappasso alla loro adolescenza. Tra gli schianti d'avversi destini degli attori, sin da subito immersi in un girone infernale in cui imperversano furie senza volto, non sembra possibile che il configurarsi di un punto interrogativo.

Una sceneggiatura.

Nell'incipit cinematografico, decisamente noir, la morte è il punto di partenza del libro e disarmante scettro e spettro: impianto centrale di un lungo flashback diegetico. Ridondante nel nome di Duccio e inevitabilmente, nel nonno paterno che non potrà fortunamente assistere al peggio, ma trionferà nella sua eredità d'odontecnico nel nipote. Centrale e perniale nel testamento materno di Annandrea, in una lettera di straordinaria dolcezza e rimpianto che si alternerà alla realtà e alle vicende, sino alla fine imprevedibili, in un ricordo che progressivamente e circolarmente ritornerà all'inizio, in una scacchiera dove ogni pedina ritroverà la sua casa. Reincarnazioni. O metamorfosi di una caccia perenne che s'improvvisa nei viaggi terreni, nei desinare mancati, nelle cene a lume di candela, nei viaggi idilliaci e istintuali. Metamorfosi onirica e sparizioni di oggetti trasferiti dalla memoria e dalla realtà; ilari e fedeli cani comprendendo: barocchi arabeschi di un sogno parallelo.

In quell'imperativo della vita e nel destino, ciò che sopravvive in una forma mitica è amore, che nemmeno Apollo seppe vincere. Amore nella certa doppia e centrale coniugazione per Duccio (...), nelle sue sfumature di tenerezza e attesa o nella imprevedibile milonga di quelli contrastati, irrisolti o dissipati. Quello apocalittico tra Annandrea e Simon, che farà tabula rasa di tutti gli altri e che in una sigla diverrà sigillo, giudizio e profezia. Senza poter dimenticare l'affetto e il legame profondo, pur talora contraddittorio, che lega le altre figure del romanzo ad Antonio e Annandrea, che nell'ancestrale gineceo del suo commiato troveranno nelle parole della figlia di Gemma una nuova umanità e prospettiva .

Un anti-romanzo di formazione.

L'esistenze di un gruppo di amici, afflitti da una perenne adolescenza, si dipaneranno attraverso destini opposti, ma da un preciso momento della loro vita. In quel contesto alla fine drammatico poco simbolicamente coincidente con l'equinozio di primavera. In verità annuendo invece al celebre verso di Eliot Aprile è il più crudele dei mesi. Ma il tempo e l'età sembrano soprassedere, non solo in quelle adolescenze esiziali o nelle seduzioni dell'irraggiungibile sentimentale e musicale. In questa essenziale patologia dei personaggi stessi, il testo, li proietterà in una caverna platonica dove l'unico veggente e vedente sarà Ilio, che saprà "classicamente" inneggiare all'amicizia nelle pagine più luminose del libro.

Il libro è un fiume in piena che solo nella riflessione di Annandrea troverà: un qualche più discreto o più lento flusso, qualche circoscritta laguna ninfale e mai cupi botri d'imperfette solitudini, nell'umana claudicante e saturnale dolcezza di vitalità irrisolte. Infinitamente tornando a quelle rapide, ai gorgoglii danzanti intorno alle pietre od alla spossatezza di un letto meno ripido, ritroviamo il suo segreto. Scendere instancabilmentee comunque l'impermeabile fiume della vita, che conosceremo nel significato del suo percorso solo arrivando alla foce.

Il destino nella furia della vita stessa (quintessenziale e priva di quinte teatrali) non sembra comunque potersi mitigare nella consapevolezza, tantomeno lasciarsi soggiogare, ma certamente anni luce distante dalla noia e l'indifferenza romana d'altre stagioni letterarie. Semmai lucido diario o cinico autoritratto, semmai nobile dirimersi nel contesto anti-eroico dei destini senza necessità del ventunesimo secolo. Molte le lame che tornano a rigirarsi inversamente nelle ferite e sembrano talvolta cauterizzarle, ma nel disseccato plasma di un rogo che incenerisce ogni anelito. Nel climax di un crepuscolo che più non divide la luce dalla tenebra, il tempo si compendia ora nella fine di ogni attesa.

La musica e il linguaggio

Sotterranea scorre la musica; schermo di un linguaggio che per eccellenza rifugge qualsiasi codice: sindone extradiegetica delle sovrapposte trame. Beethoven, prediletto e titanico nel repertorio di Simon e nella gelosia e nello schernire di Antonio. Schubert, nel giovanile e fallimentare approccio con Hélène. La musica appare nel breve secondario interludio cronistico della giovane arpista di Torino e, meno assoluta, persino nel giovanissimo Servadio: tarocco imprevisto del mazzo di carte che progressivamente si scopre nella storia, che si presta con minore ambizione nella band I minus habens. Ma ben altro ruolo e compito esegetico, in realtà, gli verrà assegnato dalla storia di quei destini intrecciati.

Immaginando una colonna sonora, l'unica composizione che vorrei sentir risuonare nella lunga lettera di Annandrea, è lo studio n. 5 per pianoforte di Philip Glass.

In trasparenza corre linfatico, a nuocere, persino quell'archetipo mariano delle possibili radici giu-daico-cristiane di una cultura non solo teologica e ben più vasta; correndo a toccare le corde barito-nali e avvolgenti che vibrano nelle note rime di Gibran e in quelle sofferte di Tagore. Una tristezza temperata, implicita all'umano diligente assecondare il destino: e qui, però irreale nell'opportuno raccogliersi del testo nell'inventario di umori e sostanze sospese, eppure, qui, così graffianti, indelebili, irrisarcibili.

In alcuni monologhi scorre la rappresentazione letteraria del pensiero. Quello che immancabilmente ci accompagna nella sua intima e soverchiante spontaneità. Nelle fughe e cacce di Antonio ed Ilio, i pensieri sono un irrivolarsi lessicale di frammenti, l'imprevedibile loro rivelarsi e confidarsi in parole di assoluta immanenza, eppure ancora una volta: graffianti, indelebili, irrisarcibili.

In evidenza una scrittura infinita e secca di principali, chiasmo formale ad una narrazione che, per interi capitoli, troverà al contrario ben poche soluzione di continuità. Funziona. Nell'ansia di scatti fotografici del pensiero e del cuore, nel velluto sbruciacchiato da sigarette dimenticate nel sonno. E se, repetita iuvant, nelle intime e perfette visioni di una femminilità e di una materna affettività, che molte donne avrebbero voluto leggere ben prima, e molte madri, vivendole nella profondità del loro segreto, o del loro frutto proibito, avrebbero voluto dire o gridare al mondo.

Non troveremo il libro sui pallets delle nuove librerie, una ragione forse in più per leggerlo; assai probabile sarà in futuro vederlo incorniciato sullo schermo cinematografico.

La scrittura non è bellissima, cosa potrebbe interessarle l'estetica? Questa storia non è fantastica cosa potrebbe interessarle la finzione? Questo libro è inutile perchè alcun profitto potremo ottenere dalla sua essenziale scarnificazione dell'idea di destino, tranne il suo stesso.

Quanto potremo personalmente aggiungere, a quella bronzea sofferenza dello scacco matto quando nessuna pedina resta da giocare? Molto. Grazie a quella potenza intima, individuale e universale de Le separazioni d'argento

Una bella soddisfazione, non credi ?

Daniele D'Arrigo e Laura Guidugli - Le separazioni d'argento (Ancona 2020, Pequod) € 18

                                                                        Ai Palmini San Ginese di Compito 10 Dicembre 2020


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