07 febbraio 2022

"Con le peggiori intenzioni" di Alessandro Piperno

 

di Marigabri

        Il romanzo d’esordio di Alessandro Piperno ha ricevuto più critiche e solenni stroncature che elogi. Dato il successo di vendite del libro, però, il sospetto che nei demolitori agisse pure un pizzico di invidia c’è e rimane. (Dell’invidia Piperno tratta ampiamente qui e altrove).

         È vero che l’autore esagera: con la trama, coi personaggi e con la sintassi. Ma è anche vero che un ritratto così implacabile e veritiero della borghesia ebraica romana d’alto bordo mai si era letta prima.

       Ho sbirciato qualche commento tranciante e non mi è piaciuto. E anche se non ho vibrato di entusiasmo per questa storia e per questa elaborata scrittura, ne riconosco l’originalità e voglio riportare la recensione (positiva) di Gad Lerner che gode della mia stima (e che di ebraismo, in tutte le sue diverse sfaccettature, qualcosa sa).

Se non sbaglio i critici letterari, quando vogliono spararla grossa, parlano di crisi del romanzo borghese. E che crisi, ragazzi, se leggerete d’un fiato -come è successo a me- le strepitose trecento pagine di un tale Alessandro Piperno: con sulla copertina il motoscafo Riva che gli scorrazza la pupa dei suoi sogni, Gaia, di cui giungerà al massimo ad annusare mutandine e collant gettati nel cesto della roba da lavare, come del resto sua abitudine da feticista e assiduo praticante della masturbazione. Onde evitare la querela di questo tale Alessandro Piperno (che non conosco: leggo trattarsi di un trentenne docente di letteratura francese, esperto in Proust, hai capito il romanzo borghese?), preciserò che il maniaco frustrato non è lui, ma la creatura della sua penna Daniel Sonnino. Nipote di un ebreo romano, Bepy Sonnino, che negli stessi anni in cui Primo Levi scriveva “Se questo è un uomo” inorridiva solo all’idea che gli parlassero dei cugini inceneriti ad Auschwitz –se non altro per ragioni estetiche- dovendosi praticare il buon gusto, la dissipazione, la goduria riservati dal destino ai sopravvissuti. E non lo scocciassero neppure con Israele, dove si mangia roba che fa venire la dissenteria e la gente ignora la sia pur minima eleganza nel vestire.

Quel farabutto del nonno Bepy, il tipo che deve fuggire in America per i debiti, e mentre i figli si arrabattano fra creditori e direttori di banca scrive da New York se per favore gli mandano lo smoking che lì ci si diverte un casino, alla fine risulterà il migliore della compagnia. Certamente meglio di quei parvenu non ebrei –privi di follia e di alito vitale- con cui inevitabilmente sono andati a contaminarsi i Sonnino pur di star dentro alle più insulse cacce alla volpe o feste dei diciotto anni della mondanità romana.

A questo punto vi dico il titolo: “Con le peggiori intenzioni” .

Un libro strepitoso perché costruito su un nulla che è il nostro nulla. Con la sapienza di scrittura di chi il romanzo borghese l’ha maneggiato sul serio, Alessandro Piperno racconta lungo tre generazioni ormai scampate alla guerra la saga familiare dei sazi e degli svuotati che siamo noi. L’unico che lì in mezzo, per ragioni generazionali, incappa nelle passioni del Sessantotto, è lo zio Teo che infatti emigra in Israele (dove si trasformerà in “falco”, sposerà una russa dai piedi arrapantissimi, genererà un cugino gay). Gli altri non hanno proprio bisogno di credere in un bel nulla, per vivere. Ma il grande vuoto è pieno zeppo di disavventure, frustrazioni, pulsioni erotiche, perfino una specie di ricerca culturale, il tutto nel segno dell’inconsapevolezza. Finalmente uno sguardo non vezzoso e ruffiano sugli ebrei italiani, e attraverso di loro su una borghesia troppo appagata per credere in qualcosa.

Se ho tanta voglia di consigliarvelo, non è solo per quanto mi sono divertito a leggerlo, con la sua miscela accurata di profondità e spudoratezza. Ancor di più mi diverte l’idea che in quegli zozzoni, in quei perditempo, in quei raffinati cicisbei, alla fine vi rispecchierete come in un autoritratto.”

Alessandro Piperno. Con le peggiori intenzioni. Mondadori

 

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