01 aprile 2022

"Martin Eden" di Jack London

 

di Davide Pugnana

       Se vado indietro con la memoria ai libri che ho letto penso di aver amato pochi romanzi al pari di "Martin Eden", forse perché davanti a questa aspra e struggente storia di progressiva perdita e conquista di sé si snoda il destino di chi desidera fortemente conquistarsi un posto nel mondo, e tanto meglio se questo posto coincide con la scoperta di una vocazione, più o meno naturale, che ci permette di diventare ciò che siamo. 

        Chi di noi non si è rispecchiato nelle vicissitudini di Martin? O meglio: chi di noi non si è trovato a farei i conti con una realtà cruda che sembrava deviarci dal corso di quegli eventi sentiti, invece, come il centro della nostra felicità? Per Martin questo raggiungimento sarà la conquista della scrittura, mentre, per noi che leggiamo, il fatto cruciale si incarnerà magari in altre forme, tante quanto sono le nostre vite individuali e le nostre scelte di percorso. 

        Quando Jack London scrisse "Martin Eden" doveva mettere molto di sé nella costruzione di questo personaggio seducente e vitale. Il giovane Martin, che di mestiere fa il marinaio, che cresce senza istruzione, che frequenta il mondo operaio, doveva condividere non pochi tratti con l'avventuroso Jack London, rotto a tutti i tipi di navigazione e di esperienze di vita. Così, quando Martin conosce la giovane fanciulla borghese Ruth e inizia a rivestirla di ogni bellezza di virtù morale e intellettuale (quella che Stendhal, nel "De l'amor" chiama la "cristallizzazione" dell'oggetto amato) il mondo del mare inizia ad andargli stretto e a sognare un mezzo per raggiungere la sfera alta del suo amore impossibile. Martin decide che questo mezzo di crescita saranno la lettura dei libri e l'esercizio della scrittura. E vi si applica con tutto se stesso. Sono le pagine di più struggente e titanica rivolta contro l'apparente ineluttabilità del proprio destino: può un marinaio senza istruzione, digiuno di grammatica e di letture, senza un cursus scolastico lineare, ambire, e infine conquistare, la patente di "scrittore"? E più in generale: su quali lieviti segreti si forma la scrittura creativa? Quanto può contribuire l'istruzione nel determinare l'incidenza di una prosa narrativa? In breve: viene prima la capacità innata di affabulazione e poi la scrittura a suo sostegno; oppure, la parola scritta rivela a chi la pratica quella dote speciale di saper dire il mondo e l'esistenza che vi scorre sopra?

       È questo il tema cardine che sorregge il romanzo: la grande ossessione omnicomprensiva che attanaglia Martin in ogni momento dei suoi vent'anni. Ma non abbiamo risposte definitive circa il meccanismo di scoperta della scrittura come vocazione. Per Martin Eden diventare scrittore significa compiere un attraversamento e un miglioramento di sé, educando la propria mente al pensiero, alla grammatica, alla filosofia, alle teorie di Spencer, suo punto di riferimento. Questa pare la formula per diventare scrittore: leggere, leggere e leggere ancora e poi lavorare sui testi diciannove ore al giorno, senza quasi né mangiare né dormire. Un lavoro massacrante. La conquista della scrittura, sembra tematizzare London attraverso Martin, è, prima di tutto, 10% talento e 90% lavoro pratico. 

        E qui si scorge in filigrana la storia di Jack London. Scritto e pubblicato nel 1909, all'età di trentatré anni, "Martin Eden" è, al contempo, la storia della gioventù dello scrittore e l'invenzione di un personaggio dietro cui si cela l'autore stesso, intenzionato, con tale finzione letteraria, a scrivere un'autobiografia celebrativa e distruttiva. 

        Ma è anche tanto altro: è allo stesso tempo un romanzo di formazione, una storia d'amore, una fotografia politica e sociale degli Stati Uniti di inizio Novecento ed un folgorante, bruciante e straziante racconto tragico tutto imperniato sull'anima e lo spirito del suo protagonista. La straordinarietà dell'autore e del romanzo sta soprattutto, a parer mio, in questo: London racconta una storia di vita e d'amore, di vita in quanto d'amore, usando un pretesto ordinario – l'incontro di due giovani e il sentimento che progressivamente li unisce – per fotografare un'epoca, con le sue diseguaglianze di classe e il suo sviluppo veloce ed iniquo (già allora!): una Nazione che, già in quel momento, ha in sé i semi di quello che diventerà nell'arco di un decennio scarso (durante e dopo la I^ guerra mondiale), ossia il punto di riferimento del mondo intero, ma in particolare il percorso particolarissimo compiuto dall'anima del suo protagonista.

       È questa, infatti, la vera regina del racconto, l'anima inquieta ed eccezionale (nel senso letterale della parola) di un ragazzo che, noi diremo non senza furori alfieriani, volle farsi fortissimamente scrittore e che dal suo sogno, ma forse dalla realtà in cui quel sogno è costretto a farsi carne viva, verrà invece distrutto. Direi che più che un processo di crescita e di formazione, quello raccontato in Martin Eden sia un processo di disincanto e sconfitta personale perché proprio nel momento in cui Martin si rende conto di quale sia il vero volto del mondo a cui fino a quel momento ha desiderato di appartenere, proprio quando tutto è in mano sua, ormai si è spinto troppo oltre per poter anche solo pensare di tornare indietro. 

          Proprio in quest’ottica Martin Eden può anche essere considerato un “romanzo delle idee”, nel senso che attraverso la storia di Martin, Jack London mette su una vera e propria riflessione – e critica – sulla figura dell’artista all’interno del mercato capitalista. Questo perché il successo di Martin Eden come scrittore non è correlato alla sua crescita professionale. Tutt’altro. Martin diventa celebre nel momento in cui, dopo anni di scrittura e di rifiuti, decide di smettere di scrivere e uno dei suoi lavori ha successo. Ed ecco che parte la giostra. Tutti lo vogliono, tutti lo amano. Tutti vogliono pubblicare i suoi lavori, scritti prima del successo, quando pativa la fame e nessuno si interessava a lui. Martin dunque si domanda: perché adesso che ho avuto successo tutti vogliono la mia attenzione, quando io sono sempre lo stesso e i miei scritti non sono frutto di chi sono adesso (uno scrittore di successo) ma di quel ragazzo a cui prima del successo nessuno dava alcun credito? 

        Nasce da qui la riflessione di Martin (e di Jack London) che lo porta ad abbandonare la scrittura, a non voler fare parte di quel mondo borghese per il quale aveva tanto combattuto, ma che scopre essere vuoto; e che vive in una sorta di apatia, di delusione totale e di stanchezza cronica che lo porteranno a scegliere la via di un suicidio che ha come grembo ultimo il mare: elemento intatto di purezza e magma indifferenziato; ma anche simbolo di un'identità sana e naturale che Martin aveva in sé prima di "corrompersi" con il successo della scrittura. In quel vasto mare, nero come l'inchiostro, sotto la notte di stelle, sgusciando fuori da un oblò aperto sull'abisso, scompare Martin Eden.

Jack London. Martin Eden. Universale economica Feltrinelli

 

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