di Andrea Appetito
Polaroid di Tarkovskij, Tonino Guerra. Lui scrive, seduto su uno sgabellino, forse la sceneggiatura di Nostalghia, forse un’altra sceneggiatura.
L’indice destro sospeso sulla tastiera, poggiata su una sedia di legno. Lo vediamo impastare, sotto la finestra aperta, una lettera alla volta, parole azzime. Niente scrivanie, niente scaffali colmi di libri, né comode facciate; c’è un libro solo, sul davanzale, sotto il bicchiere che cattura le ombre del mattino. Sul suo capo tonsurato dalla luce splendono le margherite raccolte dai prati ancora coperti di guazza e ordinate nel bicchiere. Lui è concentrato su lacerti di immagini che affiorano dal deserto della pagina bianca.
Accanto alla
finestra, ha montato la sua tenda per seguire l’ispirazione improvvisa e ora la
consuma, mentre il tepore del mattino gli accarezza la schiena curva. Tutto il
mondo di dialoghi che sta per venire alla luce poggia sulle sue spalle. Questo
Atlante curvo sotto il peso dell’immaginazione è un instancabile mediatore tra
il mondo delle cose rustiche e quello delle idee improvvise. Così dopo aver
allestito lo scriptorium da campo, con dignità solerte si è messo al lavoro.
Questo artigiano laborioso nella nicchia della polaroid ha fatto della
scrittura la sua devozione, il suo stile di vita.
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