Le
“onorate cortigiane” che
dominarono l’Italia rinascimentale
di Nadia Davini
Sguardo fiero, soffici capelli ramati, il
decolleté latteo illuminato da un filo di perle. Bocca carnosa, ben disegnata,
ma senza sorriso. Così Tintoretto ci rimanda in un celebre quadro l’immagine di
Veronica Franco, veneziana, scrittrice e poetessa, di professione «cortigiana
honorata» della Venezia cinquecentesca, desiderata da nobili, prelati, artisti.
Perfino Enrico III, sovrano di Polonia e di Francia, di passaggio a Venezia nel
1574 volle passare una notte con l'ambita Veronica, che, oltre ad offrirgli le
sue grazie, gli donò anche un suo ritratto in miniatura e due sonetti da lei
composti per l'occasione. Il tocco di classe di una donna colta, ironica,
antesignana di una nuova femminilità, decisa a battersi contro le
diseguaglianze tra i sessi.
Sarà forse per questo che il ritratto del
Tintoretto è stato scelto come immagine di copertina dell'ultima fatica
letteraria di Luciano Luciani, Le donzelline. Donne d'amore nell'Italia
rinascimentale. Una sorta di saluto di benvenuto al lettore, un modo
per dichiarare fin dall'inizio da che parte pende la penna dell'autore. Che non
ha dubbi e, quando si tratta di scegliere, decide di restituire dignità a
persone e personaggi dimenticati, mostrando con grande interesse e profonda
umanità le vicende scandalose delle prostitute del Cinquecento.
Chi sono le
donzelline? E da dove vengono? L'autore, romano e lucchese da oltre trent’anni,
ex docente e pubblicista, nel suo informarci su chi fossero le prostitute del
XV secolo, ci regala una riflessione ben più ampia su come queste donne – e le
donne in generale – venissero viste e considerate; su quante profonde siano le
radici della disuguaglianza di genere e del pregiudizio; su quanta sia
ricorrente l'ipocrisia maschile fondata sulla dicotomia attrazione/repulsione.
E lo fa con la leggerezza di chi vuole condividere il proprio stesso stupore,
la propria stessa gioia, nell'aver esplorato un argomento tabù, infarcito di
luoghi comuni.
Le Donzelline
non si presentano come un trattato sulla prostituzione rinascimentale e bisogna
leggere tutto il libro, che è impresa piacevole e facile, per accorgersi di
aver cominciato un viaggio a ritroso alla ricerca di vicende intime e spaccati
sulla società del tempo, piccole storie semplici che si muovono e si
confrontano nell'universo più grande della Storia di quel periodo, tra luoghi
comuni, ipocrisia diffusa e dinamismo culturale, mescolando uno stile ora colto
ora popolare, avvincente dall'inizio alla fine.
Si parte dalle stufe, ovvero i
bagni pubblici, ufficialmente stabilimenti termali che godevano di una fama
equivoca ed erano gestite da prostitute troppo anziane per esercitare la
professione attiva.
Si prosegue con la spiegazione, senza mezzi termini, di
come alle puellae lupanaris fosse riconosciuta un'importante utilità
sociale, come lo era il porre un vincolo alla sregolata attività sessuale e
alla sodomia, il vitium contra naturam, omo o eterosessuale che fosse.
Una sosta sulla visione della Chiesa cattolica e subito una panoramica a tutto
tondo sulla prostituzione nell'Italia del Rinascimento. Roma, certo, poi
Firenze, Venezia, Perugia. Genova che obbligava le prostitute a vestirsi di
giallo per distinguersi dalle altre donne, Viterbo, dove si cercò di
regolarizzare la prostituzione nel XIII secolo, passando per Pistoia e,
naturalmente, Lucca. Che fu la prima città a istituzionalizzare la
prostituzione dopo la terribile pestilenza del 1348. La zona riservata
all'esercizio si trovava a nord-ovest della città, in “Cojaria” (l'attuale
Pelleria), dove si lavoravano le pelli: la gestione del primo bordello se
l'aggiudicò per 120 fiorini d'oro un cittadino lucchese, Nicolao del Tepa, che
riscuoteva i proventi dell'attività delle meretrici: parte delle somme ricavate
furono impiegate nella costruzione del ponte sul fiume Serchio.
Intorno alla
metà del XV secolo, poi, una serie di leggi e provvedimenti liberalizzarono
l'esercizio delle attività prostitutive e al postribolum si aggiunsero
alberghi, taverne, case private e le famigerate “stufe”. Il bordello pubblico
arrivò a conquistare, nei primi anni del XVI secolo, anche il cuore della
città, piazza San Michele, per poi spostarsi in un'altra zona del centro
storico, dietro alla chiesa di San Girolamo. A garantire la loro incolumità,
difendendole da danni, brutalità, abusi e sopraffazioni spettava ai “Protettori delle meretrici”, un nuovo istituto
formato da tre anziani, uno per ciascun terziere, e il Podestà.
Accanto ai luoghi, i nomi. E dunque Tullia
d'Aragona, bellissima incantatrice, Veronica Franco, autrice di uno dei rari
canzonieri femminili del Cinquecento, Imperia la più famosa cortigiana del
Rinascimento romano, morta suicida perché innamorata di un nobile che non
poteva sposare in quanto già coniugato. E ancora un esercito di donne del
popolo, dalle lavandaie alle cucitrici, dalle tessitrici alle ambulanti, che
non riuscivano a vivere del loro lavoro e cercavano clienti tra gli strati più
infimi della popolazione per integrare i loro miseri guadagni.
Come nasce il libro? Da una capatina allo
storico mercatino lucchese dei libri usati e un testo ingiallito che gli rimane
tra le mani: la biografia di una poetessa rinascimentale che dell'arte del
sesso aveva fatto la propria attività principale. Mettici poi le rilevazioni
sulle abitudini del tre volte ex (ex ex ex) premier e il gioco è fatto, ecco il
“la” per approfondire un tema volutamente taciuto e capace di intrecciare storia,
costumi, riflessioni e letteratura.
Luciano Luciani, Le donzelline Donne d’amore nell’Italia
rinascimentale, collana Obliqui, ETS Pisa, 2014, pp. 130, Euro 12,00
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