di Gianni Quilici
Via via che leggevo Lettere a un amico pittore di Vincent van Gogh, scrivevo a margine
noterelle che, parzialmente, qui segnalo, consapevole dell’inutilità di queste
riflessioni (già risapute), ma come esercizio (per non perderle) ed anche
perché ogni riflessione, pure risaputa, può avere un suo stile, quindi una sua
necessità.
Primo: le lettere
al giovane amico pittore Emile Bernard non sono frettolose, di
circostanza e a direzione unica, ma un dialogo in cui Van Gogh si confronta,
espone, racconta, domanda. Il tono è sempre amicale e soprattutto sincero.
Sulle poesie e sugli schizzi di disegni, che Bernard gli invia, esprime
opinioni non solo positive, ma anche negative, in modo a volte analitico, soprattutto
per le poesie, sempre comunque motivando, incoraggiando.
Secondo: le
opinioni di Van Gogh sono sicure e profonde, denotano una conoscenza letteraria
e soprattutto una notevole cultura dei pittori su cui riflette e, come è noto,
una eccezionale sottigliezza riguardo ai colori, alla loro individuazione,
mescolanza e uso. Colpisce che consideri Vermeer, allora misconosciuto, come un pittore che rende tangibile l'infinito, che "nei suoi rari quadri ci sono a rigore tutte le ricchezze di una tavolozza completa".
Terzo: anche nella
scrittura van Gogh riesce a trasmettere “visioni” di bellezza, come quando
scrive a proposito della corrida di Arles: “Però la folla era magnifica, le
grandi folle variopinte, accalcate su due tre file di gradini con l’effetto di
sole e l’ombra del cerchio immenso”, che potrebbe essere pure soggetto di una
sua pittura; e meglio ancora quando
descrive uno dei due disegni da lui fatti a penna:
“…una immensa
campagna pianeggiante –vista a volo d’uccello dall’alto di una collina- delle
vigne, dei campi di grano mietuti. Il tutto moltiplicato all’infinito, si
allarga come la superficie di un mare verso l’orizzonte chiuso dalle montagnole
della Crau”
Quarto: ha una
visione della vita dalla parte dei più umili e indifesi. Scrive, a proposito dei
colonialisti bianchi:
“ I cristianissimi bianchi non hanno trovato di
meglio che sterminare e la tribù degli indigeni-antropafagi e la tribù contro
la quale la prima guerreggiava….Quando ne avremo abbastanza dell’orrendo bianco
con la sua bottiglia d’alcool, il suo portamonete, il suo vaiolo? L’orrendo
bianco con la sua ipocrisia, la sua avarizia e la sua sterilità. E quei
selvaggi erano così dolci e così amorevoli!”
La puttana, inoltre, gode della sua simpatia più che della sua
compassione e viene considerata dal grande pittore amica e sorella in quanto
lei è un essere esiliato e un rifiuto della società come lo sono loro artisti.
Quinto: Van Gogh
sente il rimpianto per la “mancanza di spirito di corpo tra gli artisti, i
quali si criticano, si perseguitano”(…), mentre invece “le difficoltà materiali
della vita del pittore rendono desiderabili la collaborazione, l’unione dei pittori”
(…), tanto più che “involontariamente le opere formano gruppo serie “ come sta succedendo ora tra gli impressionisti,
“nonostante tutte le loro disastrose guerre civili…”.
Per ultimo: c’è,
infine una visione esteticamente molto intrigante, che ricorda molto Martin Scorsese nei panni del pittore ne
“I corvi” di Kurosawa, quando
scrive:
“ Lavoro anche in pieno mezzogiorno, in pieno
sole, senza nessuna ombra, nei campi di grano, ed ecco, ne godo come una
cicala”
Vincent van Gogh. Lettere ad un amico
pittore (Lettres de Vincent van Gogh à
Emile Bernard ). A cura di Maria
Mimita Lamberti. Traduzione di Sergio Caredda. Bur Biblioteca Universale
Rizzoli.
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