29 marzo 2020

"Anche i Pisani sono esseri umani" di Luciano Luciani e Nino Zampaglione (12a puntata)


Dodicesima puntata. in cui i ricodi di Luciano
si intrecciano con quelli di Nino Zampaglione,
calabro-pisano, comunista e dispensiere


Nino.
A Nino Zampaglione, che più e meglio di me (lui è stato persino dispensiere!) ha conservato nozioni vivide degli anni a metà dei Settanta, ho chiesto di delineare i lineamenti essenziali, fisici e morali, dei protagonisti minori, anzi minimi, di una comunità sparita. Cancellata dalla storia come le tribù dei pellerossa del nordamerica o degli aborigeni australiani e della quale solo pochi panni sbiaditi - perché il tempo stinge -  sono rimasti appesi ai fili della memoria.
Lo ringrazio con l'affetto di sempre e con parole mie procedo sui suoi passi.

I vecchi compagni.
Operai di mestiere, artigiani, lavoratori Piaggio, pensionati, dipendenti di aziende legate al Comune, alla Provincia o all'Università, microimprenditori, disoccupati in cerca di occupazione, un bravo falegname che per pochi soldi mi costrui un tavolo a caprette e una libreria robustissima a scaffali in puro stile sovietico che utilizzo tutt'ora. Di  loro, a volergli dare un volto, mi torna in mente per primo, chissà perché, Romano, detto “l’Intellettuale”. Personaggio mite, difficilmente si alterava, sempre gentile e cortese. Nelle riunioni o assemblee di partito interveniva sempre e come molti esordiva dicendo che era d’accordo con la relazione introduttiva e con quanti erano già intervenuti.
 

Poi mi ricordo di Paolo, detto “Pappetta”, perché quando parlava sembrava che masticasse acqua. Ha lavorato fino alla pensione alla libreria Mondadori in galleria Gramsci, dove alcuni compagni della Cella compravano libri e soprattutto dischi, perché Paolo riusciva sempre a garantire sconti piuttosto sostanziosi.
 

Non mi posso dimenticare, poi, di Erico, detto “Berlinguer” per la sua sincera fede in un comunismo ragionevole e riformista a cui se ne accompagnava un'altra: accanito tifoso della Fiorentina fino a scommettere ogni anno sullo  scudetto, sta ancora aspettando il terzo titolo della squadra del cuore. Intanto Berlinguer è morto, il Pci non c'è più e un comunismo qualsiasi risulta ormai “non pervenuto”. Forse, chissà, quando la Fiorentina vincerà il campionato anche il suo comunismo potrebbe fare una sua modesta riapparizione da qualche parte....
 

L'attivista a tutto tondo era Sergio, segretario della Sezione, componente fisso e indispensabile del servizio d’ordine del Pci provinciale durante le manifestazioni e comizi, il suo compito era quello di contrastare i militanti di Lotta Continua e degli altri gruppi. Durante le campagne elettorali o nei periodi politicamente “caldi”, assai frequenti anni settanta, si usava fare le scritte sull’asfalto delle strade o sui muri per rendere ancora più visibile la presenza dei militanti comunisti e il loro impegno politico. Ovviamente la Pubblica Sicurezza faceva di tutto per contrastare questa forma di propaganda politica e noi avevamo messo in atto una strategia per raggiungere comunque l’obbiettivo. Sergio andava avanti con in mano un bidone di vernice e un pennello e la polizia lo seguiva a distanza aspettando di beccarlo a fare le scritte. Dopo qualche centinaia di metri aumentava l’andatura fino a mettersi a correre e la polizia lo seguiva fino a bloccarlo e non poteva fare altro che costatare che nel bidone non c’era vernice. Nel tempo in cui la Polizia prendeva i suoi dati della carta d'identità e lo interrogava, gli altri compagni, rimasti dietro, marcavano con scritte a larghi caratteri l’asfalto e i muri della Cella. Tanti sono gli aneddoti su Sergio: per esempio che rovesciò sul pavimento la moglie che già dormiva perché aveva osato rifare il letto con le lenzuola nere, (in quel tempo erano di moda le lenzuola colorate), dicendo che già faceva fatica a sopportare quelle bianche.
 

A Sergio associo Veniero: di lavoro faceva l’autotrasportatore (camionista di Tir) e, a suo dire, nessuno era più comunista di lui. Manifestava la sua fede politica anche esteriormente e in modo vistoso: il 25 aprile, il 1 maggio, e in occasione delle feste dell’Unità per lui era doverose indossare un fazzoletto rosso al collo.
 

Meno acceso, ma non privo d'ironia verso le cose di un mondo dominato ancora per chi sa quanto tempo dai padroni, era Otello detto “Coino”. Operaio della Piaggio legatissimo al Circolo e alla sua varia umanità, pur iscritto al Pci, non era un frequentatore assiduo della sezione e raramente partecipava alle riunioni di partito. Il suo impegno politico lo riservava alla fabbrica e alle lotte sindacali che giudicava più capaci di cambiare i rapporti di forza tra le classi.
 

Presenza atipica quella di Osiano, detto lo “Zio”, perché aveva quattro nipoti quasi suoi coetanei. Pessimo raccontatore di barzellette sporche che si ostinava comunque a propinarti, era un informatore culturale per Mondadori, lavorava essenzialmente con le librerie proponendo le novità editoriali. Assiduo  della Sezione e del Circolo, attivista e grande sottoscrittore, diffusore dell’Unità, come tanti altri compagni era inserito nel gruppo di quelli che garantivano periodicamente la vigilanza di notte e nei festivi presso la sede della Federazione provinciale.
 

Poi c'era Giulio detto “Popi”, soprannome di origini familiari a significare piccolo Piero, a causa della statura ridotta. Anche lui assiduo frequentatore del circolo e della sezione Pci, comunista stalinista, non ha mai condiviso il compromesso storico e la Dc era il suo nemico. Ancora oggi nei locali della sezione c’è una sua foto col fazzoletto rosso al collo e il pugno chiuso. In suoonore era stato inventato un aperitivo dal colore rosso detto appunto Popino (prosecco e bitter campari). Era l'unico a conoscere alcuni canti comunisti già allora desueti, quelli di Spartacus Picenus (Raffaele Mario Offidani), oggi oggetto solo del blando interesse di demologi e antropologi. Mi sono rimaste nella memoria e nel cuore la passione e l'intensità con cui il “Popi”  cantava Sventola, bandiera rossa, movenze musicali da operetta e un ritornello indimenticabile: Io ti vedo lassù / sulle rovine di un mondo che fu / Bandiera rossa sventolare ognor / su tutti i popoli in sommossa... 
 

A Mauro, il “Crociaio”, il soprannome derivava dalla sua attività: faceva il marmista e lavorava soprattutto nel settore cimiteriale. Non era un grande frequentatore della Sezione, ma un ottimo sostenitore e sottoscrittore della sezione. A Roberto ci si rivolgeva come al “Papino” perché suo nonno, chissà perché, lo chiamavano il “Papa”.
 

Umberto, venditore ambulante soprattutto d’estate sulla spiaggia, diventava “Ciuccino” in quanto abituato a portare a casa alle figlie le caramelle che vinceva giocando a carte.
Grande diffusore dell’Unità. Rolando era detto “Nasco”. Grande tifoso del Pisa calcio, non ha mai mancato una sola partita sia all'Arena Garibaldi sia in trasferta. È morto d’infarto allo stadio nel corso di una partita fuori casa.
 

Giulio frequentatore del Circolo e della Sezione, era un attivista semplice, ma si faceva valere soprattutto durante la Festa dell’Unità dove abitualmente era addetto alla griglia per cuocere, nessuno come lui, salsicce e rostinciana.
 

Luciano iscritto alla sezione autoferrotranvieri, collega e amico di Sergio Pozzolini, valente diffusore del quotidiano del Partito, era stato per 15 anni segretario della Sezione centro del Pci sud. Aldemaro gestiva un deposito di libri e stampe, che con qualche enfasi chiamava libreria o galleria d’arte. I compagni della sezione talora lo scansavano perché voleva vendere a tutti libri che, a suo dire, possedeva solo lui. Quando qualcuno gli chiedeva cosa facesse di lavoro, era solito rispondere che vendeva cibo per la mente.
 

Se Umberto era detto “Umbertino” per un fisico che non era certo quello di ungigante, qualche spiegazione merita l'appellativo di “Caribù” con cui era indicato Carlino: avendo sfondato con una testata il cofano di un'auto era stato assimilato a un personaggio dei fumetti di qualche notorietà in quegli anni, il piccolo pellerossa Caribù dalla testa così dura da spaccare un macigno...
 

Tra i molti, scivolati via attraverso le maglie della rete della memoria, mi rimanangono ancora Carlo, appassionato di calcio e arbitro professionista, attualmente presidente della sezione arbitri di Pisa; Nando, detto “Galippe”, con seri problemi alle gambe e alla deambulazione e talora oggetto di benevoli scherzi e battute da parte dei frequentatori del circolo; Alessandro, per gli amici “Dado”, perché basso di statura e squadrato da sembrare a sei facce: Luciano, fratello maggiore di Erico, netturbino, diffusore dell’Unità e abituale frequentatore del Circolo e della Sezione.

Forse, Nino e io, soli, sappiamo che questi uomini vissero insieme una stagione di complicate amicizie e faticose solidarietà.


Nessun commento: