Accade sempre più spesso che
uomini e donne, di solito, ma non sempre, di “una certa età” – diciamo, per
capirci, appartenenti alla generazione venuta al mondo negli anni
dell’immediato dopoguerra – decidano di mettere mano alla penna e raccontarsi.
Qualcuno di loro lo fa servendosi ancora della carta e dell’inchiostro; i più,
avvicinandosi con qualche timore e tremore al Pc e spinti dall’umanissimo
bisogno di narrarsi, in breve tempo si fanno capaci di impadronirsi delle
tecniche, segreti e malizie del word processor.
Ed è anche grazie al personal
se la scrittura autobiografica, un tempo patrimonio di pochi, si è allargata,
divenendo per un numero sempre più
largo di nostri contemporanei, l’occasione per mettere ordine nei ricordi,
tentare di individuarne direzione e significato, contestualizzarli nel più
ampio flusso della storia grande: un’operazione, ai nostri giorni, praticata da
molti e favorita da decenni di scuola per tutti e di alfabetizzazione di massa.
E se queste memorie soggettive presentano di rado una qualche qualità
letteraria, risultano, però, spesso ricchissime di importanti notazioni
sociologiche, antropologiche, storiche, documentarie… E tante pagine, magari
discutibili da un punto di vista formale ed estetico, ci forniscono una straordinaria
messe di informazioni intorno a veri e propri “mondi scomparsi” non solo
materialmente, ma anche moralmente: perché di questi sono venuti repentinamente
a mancare valori e idealità, modi di pensare e comportamenti.
Stiamo parlando,
tanto per intenderci, di un tema ricorrente in tante e tante memorie
autobiografiche di testimoni delle profonde trasformazioni intervenute nella
società italiana durante la seconda metà del secolo scorso: ovvero, il tramonto
e la scomparsa della civiltà contadina.
Una tale estinzione, quale si è
configurata in Toscana e segnatamente nelle campagne lucchesi, nel territorio
di Capannori, uno dei Comuni rurali più vasti d’Italia, ce la racconta, un
memorialista locale, Enrico Giovannoni, con il suo Nato il 6 gennaio 1950.
Condotta
dall’Autore con toni talora forse eccessivamente accorati e nostalgici, in un
continuo movimento narrativo tra ieri e oggi, questa rivisitazione di un
passato in fondo recente parte da una lontana festa agostana nella frazione di
San Ginese di Compito per illustrare con dovizia di particolari la storia di
Enrico, quella dei componenti della sua famiglia e le vicende loro toccate nel
corso di oltre di sessant’anni: una narrazione ininterrotta di volti, incontri,
colloqui, ambienti, atmosfere. Dalla sfogliatura fatta a mano e collettivamente
del granturco e dalla vendemmia di una volta, si passa, nel giro di pochi anni,
ai primi insediamenti industriali. Tessile e calzaturiero soprattutto,
piuttosto precari e avventurosi che, se arricchiscono velocemente alcuni,
deludono molti, lasciando dietro di sé la scia di non poche frustrazioni e il
sapore amaro della sconfitta sociale.
E mentre la famiglia conosce il suo
naturale avvicendamento di matrimoni, la costituzione di nuovi nuclei, l’arrivo
di un’altra nuova generazione di figli e la progressiva scomparsa degli
anziani, tutt’intorno cambia addirittura il paesaggio che muta inesorabilmente
da una terra umanizzata da secoli di fatiche in un’informe, ibrida periferia
stranita di asfalto e cemento, non più campagna ma non ancora città.
Gli ingenui anni Cinquanta, poveri ma belli, giungono a una loro malinconica conclusione e intanto avanzano tempi nuovi segnati da un “buco etico” che ci appare sempre più incolmabile: in nome di un benessere più apparente che reale sono stati barattati i tempi lunghi e i valori forti della cultura contadina: il sentimento della famiglia, la solidarietà, il senso del sacro, la sobrietà come capacità e abitudine ad accontentarsi di poco, la consuetudine a lavorare con le mani …
Di questo “appena ieri”
comune a tanti, scrive dal punto di vista degli “indigeni”, Enrico Giovannoni:
non lo fa col distacco algido del sociologo, ma con una ricca, intensa e al
tempo stesso semplice emotività, condividendo così le finalità dei migliori
scrittori autobiografici: “lasciare a quelli che verranno una testimonianza
diretta che ricordi le loro radici e gli antenati” per operare “un confronto
fra il loro nuovo mondo moderno e il piccolo mondo antico”.
Enrico Giovannoni, Nato il 6 gennaio 1950, Centro Stampa Lucca, aprile 2018, pp. 152, sip
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