di Giulietta Isola
“Le nostre rivoluzioni non sono altro
che cicatrici, imperfezioni
che compaiono sulla superficie
della nostra storia.”
Sinan Antoon è nato a Baghdad nel 1967 da padre iracheno e madre americana. Nel 1991, dopo la Prima Guerra del Golfo si trasferisce negli Stati Uniti e inizia a lavorare come professore di Letteratura araba, scrittore, poeta e traduttore.
Questo breve romanzo d’esordio di Sinan Antoon è ambientato nel 1989, esattamente tra la fine della guerra tra Iran e Iraq e l’inizio della Prima Guerra del Golfo ed è il diario di uno studente detenuto per aver ridicolizzato il Rais, si chiama Furat e lo ha scritto in una sorta di codice, eliminando i punti diacritici, quelli che in arabo permettono di distinguere le lettere che hanno la stessa forma. Un manoscritto scarabocchiato a matita uscito dalle carceri irachene ai tempi del feroce tiranno Saddam Hussein che aveva la spudoratezza di rivolgersi agli scrittori sostenendo che potevano scrivere ''senza timore, senza esitazione e senza farvi condizionare dalla possibilità che il governo approvi o meno quello che scrivete''.
Quello che noi leggiamo è la reinterpretazione del “compagno” Talal, uno dei secondini della prigione, che decide di lasciare tra parentesi le parole di cui non è certa l’interpretazione, quasi sempre insulti al potere centrale, un’idea molto originale resa con un’abilità incredibile. Scopriamo, in mezzo ai vaneggiamenti causati dalla detenzione, che Furat era uno studente di Lettere e poeta alle prime armi, viveva con la nonna, devota cristiana ed era innamorato dell’intelligente Arij.
Le riflessioni, i ricordi, la tortura fluiscono sulla pagina con delicata crudezza e onestà, senza tralasciare né i particolari più duri del presente da detenuto né il suo felice passato con lo studio, le partite di calcio, i primi amori .
Da una storia privata viene fuori l’immagine di un Iraq impossibile, strangolato dalla presenza ossessiva del regime incarnato dal partito , vera e propria riproduzione del fascismo, un intero paese perso nel buio di una dittatura brutale e violenta travestita da democrazia.
Letto con molto interesse per la curiosità verso uno dei posti più “caldi” del Pianeta, dove la tirannia ha alimentato uno scellerato culto della personalità che non ha nulla da invidiare a quello tributato a Stalin nell'Unione sovietica degli anni '30.
RAPSODIA IRACHENA di SINAN ANTOON FELTRINELLI EDITORE
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