di Gianni Quilici
Questo libro autobiografico, uscito nel 2016, è percorso da una linea profonda: la libertà. La libertà di Lidia Menapace di essere radicale secondo i suoi valori, andando contro ruoli prestigiosi e le convenienze del tranquillo vivere. Di dire no, quando non è d’accordo, costi quello che costi. E la sua vita pubblica spesso è stata rifiutare ( ciò in cui non crede) e, ancora di più, accogliere (ciò a cui crede).
Il rifiuto di essere istintivamente già da adolescente subalterna all’uomo e l’amore come rapporto egualitario e in libertà che, nella sua storia matrimoniale, durerà tutta la sua vita. Il rifiuto di dover essere mantenuta dagli altri e la scelta di iniziare a lavorare fin da giovanissima. Il rifiuto della violenza e la percezione dell’antifascismo che intravede già in piccoli episodi dell’infanzia e della adolescenza fino alla scelta a 20 anni di sostenere la Resistenza. Il rifiuto della politica democristiana nel momento in cui capisce che questa è in contrasto con i suoi valori e la scelta di vivere fino in fondo ciò che sarà il ‘68.
Con il ’68 iniziano le avventure, per così dire, di Lidia Menapace. Le avventure nel Manifesto e nel PdUP, nel femminismo, nel pacifismo, nell’ANPI; le esperienze di consigliera comunale nella Roma di Petroselli; di senatrice di Rifondazione Comunista, con la bocciatura clamorosa come candidata a Presidente della commissione difesa per avere asserito la sua contrarietà alle Frecce tricolori “inutilmente costose e inquinanti”.
Una donna e compagna, studiosa e militante, infaticabile e generosa, radicale e aperta, femminista e pacifista, sempre in giro là dove c’è bisogno di lei. Lei, colta e meticolosa, in questo libro si abbandona a scatti di ilarità e provocatrici. Si legga l’ultima parte e in particolare “Il Club delle Vecchiacce”, invettiva ironica contro il paternalismo inconsapevolmente feroce di qualsiasi giovanotto “sotto i settant’anni”, che ha il coraggio di apostrofare lei e la sua amica, compagna di tante lotte, Mila Spini, “nonnina, vecchietta, vecchina”, mentre invece “magari sarebbe meglio abolire la guerra o almeno ridurre le spese militari a vantaggio di un bel servizio di medicina preventiva, di città accoglienti a pro degli anziani in solitudine, di una città solidale dove vecchi e vecchie possano, se vogliono, agire, aiutare a conservare e trasmettere la memoria storica recente, raccontando anche fiabe ” ecc, ecc.
Interessante ciò che definisce “Teoria d’occasione”, ossia approfondire in modo circolare qualsiasi evento si presenti. Teoria, perché non si può parlare di ideologia; d’occasione, perché non è stata dedotta, è casuale. Originale è ciò che definisce “Pausa”, ossia il tempo che ci si prende per riposare, considerando questo un diritto per rendere sopportabile il peso dei doveri e del tempo orribilmente misurato in orari.
1974.Congresso PdUP con Lucio Magri. Foto Gianni Quilici |
E tuttavia, pur avendolo letto con piacere, sono rimasto un po’ deluso. Avrei voluto sapere di più delle sue molteplici esperienze. Penso, per fare un esempio, al suo lungo rapporto con il Manifesto, dove l’elaborazione e la continua discussione, la stessa precarietà esistenziale di molti di coloro che lo hanno formato e la qualità indiscutibile dei personaggi che lo configuravano, erano già un romanzo. Avrei voluto sapere di più, da lei che nella sua lunga vita ha incontrato centinaia di protagonisti della vita pubblica e politica italiana, qualcosa di più di loro attraverso i suoi occhi anticonformisti. Invece ne parla sbrigativamente, senza farli vivere e alcuni di essi sono soltanto citati. Canta il merlo sul frumento, sottotitolo “Il romanzo della mia vita”, mi sembra, invece, un excursus descrittivo e fin troppo veloce di una vita viva e interessante, combattutae felice.
Lidia Menapace. Canta il merlo sul frumento. Il romanzo della mia vita. Manni. Euro 14,00
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