03 gennaio 2021

"Come l'onda" di Giuseppe Ciri

 

di Marisa Cecchetti

 Tornano i versi di Giuseppe Ciri nella silloge Come l’onda, a confermare un percorso poetico dal registro raffinato, dalla musicalità del verso libero sapientemente calibrata, con le pause cercate dell’enjambement e degli improvvisi versi brevi, che conferiscono un ritmo dal fluire lento, giusto per la elaborazione delle immagini e delle sensazioni evocate.

Quello che ci regala, in sintesi, a libro chiuso, è la figura di chi trova nella cultura la sua più grande compagna e consolazione -il linguaggio ed i riferimenti rivelano un amore  onnipresente per la cultura classica - ; che non teme la solitudine se un libro gli è accanto. E in questo modo trova appagamento e vince il pensiero molesto.

Del resto la ricerca dei segreti del vivere deve essere continua, come annunciato dall’esergo che rimanda a Senofonte: “Gli dei non svelarono agli uomini tutti i segreti: i frutti di un’incessante ricerca saranno così migliori”. Rimane dunque costante l’apertura alla ricerca ed al progetto, nella volontà di controllare l’insorgere di momenti di “noiosa stanchezza” venuta ad opprimere l’anima, nella determinatezza di non cedere all’inedia, in attesa che “un Sole benigno” scaldi di nuovo i sogni.

Così il pensiero  non si ferma, ma “corre garrulo/nell’ampliato sentiero/ a trovare delizie/che credeva scordate”. Tuttavia talvolta il pensiero non porta libertà e allora si implora “un luogo dove fermare i pensieri/e riposare i dubbi che affannano le ore/per godere il ristoro del silenzio”.

Percepiamo la solitudine cercata dal letterato e dal poeta che non ama confondersi tra le folle, pur non disdegnandole e riconoscendone il forte colore e la valenza. Il silenzio è il suo luogo più amato dove raccogliere “l’animo ormai stanco per i troppi clamori”.

La sera che smorza i rumori oscilla tra l’apparire foscolianamente consolatrice e l’essere ladra di giorni. Può essere al contempo “angustiosa la sera” e “fabulosa” la “notte che spinge al domani”.

C’è una sottile nostalgia di ciò che è stato, di volti, momenti, occasioni, ma senza diventare lamento quando si recuperano i ricordi: “Eppure non danno affanno,/accendono anzi il cuore/d’un caldo languore”. E una accettazione consapevole e dignitosa dello scorrere del tempo sul nostro corpo e sulla nostra vita, tempo concesso che inizia ad abbreviarsi fin da quando si aprono gli occhi al mondo.

La bellezza è consolatrice, non solo quella che si cela e si ritrova nelle pagine dei grandi, ma quella che ci offre ogni giorno la Natura: un’alba  che scopre il fondovalle o un tramonto di luce calda; la Luna che veglia in alto; il volo di un merlo su una siepe, o un fiore, un prato, una vetta innevata su cui l’occhio si posa: “Un incanto vedere dall’alto del dosso/il Serchio riflettere un cielo screziato/ e i voli radenti”.

L’acqua, sia lo scorrere di un torrente, di un fiume, ma anche la pioggia e soprattutto il mare, sono elementi molto presenti; mare e vette rimangono ugualmente a simbolo della stessa idea di libertà, di apertura, di assoluto. Ma la barca sulle onde dice tutta la precarietà della vita.

L’adesione al respiro della Natura è costante, con piante, frutti, erbe; con il vento Aquilone che trattiene le nubi, con i profumi e i sapori che rimandano al passato ma “non hanno il sapore di un tempo,/allora ero bambino”.

Consola la bellezza della figura femminile, della grazia di un corpo,  riporta l’intensità di emozioni condivise: “negli angoli occhieggiavano/ i tulipani e tu, come ninfa/recidevi con mossa leggera/le rose ancora in boccio”. La bellezza della donna fa sognare e rinnova la nostalgia: “da lungi ti guardo/e sospiro: potresti essere figlia,/ti vorrei compagna”.

E’ altalenante in questi versi l’atteggiamento di fronte alla vita, nel contrasto tra desiderio/progetto e realtà, tra proposito e disillusione:  anche il rifugio nei libri e nella bellezza talora non sono sufficienti a rinnovare la passione, quella che dà il moto ad ogni nostro gesto, iniziativa, progetto, e rischia di affievolirsi con lo scorrere del tempo; ci può gravare sulle spalle “l’ansia dell’attesa di quanto/può ancora accadere,/ma non accade, che tutto è/continuo ripetersi di eventi/senza passione.”

Improvvisamente, però, può essere il volo d’un merlo che scuote le ali sulla terra imbiancata di neve per cercare il suo cibo, “il segno atteso/e la vita riprende /le sue peregrinazioni”.

 Giuseppe Ciri, Come l’onda, Marco Del Bucchia Editore 2020, pag. 128, € 14,00.

 

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