Claude Levy Strauss |
Vladimir Propp |
Il dialogo, possibile ma non probabile, potrebbe essersi svolto a Parigi, intorno al 1961.
E' da notare che, mentre L.S. insiste nel classificare Propp come “formalista” questi si svincola e tende a collocarsi fra i precursori dello strutturalismo. Dopo i grandi studiosi del passato, dal Basile al Pitré, dai Grimm a Brentano, P., con Morfologia della fiaba, innova le ricerche etnologiche intorno alla tradizione orale del racconto di fiabe. Per P. “favola”, termine che durante l'intero colloquio L.S. usa quasi provocatoriamente, è del tutto inadeguato per il racconto popolare di magia. In un precedente confronto epistolare, L.S. aveva sostenuto che solo grazie al suo saggio La struttura e la forma, del 1960, Propp era uscito dall'anonimato di una sorta di damnatio memoriae, e giunto a notorietà. Questi aveva ricordato all'antropologo francese che nessuno ha il diritto di primogenitura e che, proprio anche per merito del suo “oscuro” lavoro, concetti come “invarianza” e “struttura” avevano preso posto nel dibattito contemporaneo.
Propp:- Se il pensiero logico-matematico è lo strumento principe di conoscenza e si avvale di astrazioni e procedure, per far luce nella complicata rete delle relazioni umane si deve ricorrere al pensiero narrativo, fondato sulla costruzione di storie. Miti, leggende, saghe e lo stesso teatro greco, sono sistemi narrativi che giocano un ruolo decisivo nella formazione del pensiero. Il racconto orale di magia, derivato dai riti d'iniziazione, non svela significati nascosti. Non è almeno questo lo scopo della ricerca in atto, come forse lo è, per lo strutturalismo di L.S. o della psicoanalisi lacaniana. Non è nemmeno quello di trovare elementi di differenziazione. E' quello di portare alla luce invarianze, elementi strutturali fissi, che formano la base del racconto popolare.
Lévi-Strauss:- Al contrario del formalismo, lo strutturalismo rifiuta di opporre il concreto all'astratto e di accordare a quest'ultimo una posizione di privilegio. La forma si definisce per opposizione a una materia che le è estranea, ma la struttura non ha contenuto distinto: essa è il contenuto stesso, colto in una organizzazione logica concepita come proprietà del reale.
P:- La linguistica strutturale americana dipende in buona parte dalle acquisizioni del formalismo russo.
L.S.:- Non può trattarsi di derivazione, perché il tuo libro del '28 è rimasto inaccessibile fino alla traduzione di Roman Jakobson degli anni '40. Se i temi del racconto mitico favolistico sono scomponibili e, come dici tu, ogni frase costituisce un motivo e quindi l'analisi deve essere spinta a livello “molecolare”, da ciò non si può dedurre che questo motivo sia privo di struttura logica indipendente. E' importante che tu abbia riconosciuto che, almeno “a prima vista” e “paradossalmente” tutte le favole siano riconducibili a un solo tipo, ad una unica antica madre di tutte le favole.
P:- Non ho detto questo: nonostante la pluralità delle parties, quando fra queste sussista una relazione funzionale si può parlare, forzando molto, di un'unica fiaba. Ma solo in questi casi. Se le funzioni non sono connesse logicamente si deve parlare di più racconti distinti. E' infatti necessario distinguere fra fattori variabili e fattori costanti. Gli invariabili rappresentano le unità elementari. La mia ipotesi, suffragata da tutte le ricerche successive, è che i “racconti di magia” sono una categoria particolare all'interno delle fiabe popolari.
L.S.:- Il numero delle funzioni da te individuate (31) è molto limitato. Inoltre coppie di funzioni, sequenze e funzioni indipendenti si organizzerebbero in un sistema invariante, tale da permettere di classificare ogni favola. Le 31 funzioni sono sostenute da un certo numero di personaggi. Dopo questo raggruppamento ulteriore, secondo la tua analisi, i protagonisti si riducono a sette (l'antagonista, il donatore, l'aiutante magico, il personaggio cercato, il mandante, l'eroe, il falso eroe).
P:- I personaggi e i loro attributi cambiano, non così le azioni e le funzioni. L'ordine di successione delle funzioni è sempre costante, tale da rappresentare una sorta di “metastruttura”.
L.S.:- Il termine “racconto di fate” è poi doppiamente improprio. Nulla impedisce di mettere insieme favole in cui compaiono fate senza che la narrazione si conformi alle norme che tu pretendi di aver scoperto: è il caso delle favole artificiali di Andersen, Brentano o Goethe.
P:- Non è mai il caso del racconto di tradizione orale. La formula più accettabile per te sarebbe forse: “fiabe a sette protagonisti” – visto che i sette formano un “sistema”?
L.S.:- Se si giungesse a dare una dimensione storico-scientifica alla ricerca si dovrebbe allora adottare il termine di “favole mitiche”.
P:- Dal punto di vista storico il racconto di fate, raggruppato su base morfologica, è in effetti assimilabile al mito.
L.S.:- Su questo d'accordissimo. Anzi, a mio parere, non solo dal punto di vista storico, ma anche psicologico e logico. Non c'è motivo fondato per isolare le favole dai miti. Per quanto prescrizioni e divieti impongano spesso di narrare i miti solo in determinate ore o stagioni, non c'è certezza che questa osservazione sia scientificamente fondata.
P:- La purezza della costruzione dei racconti è quella di una società arcaica poco toccata dalla civilizzazione. Ogni influenza esteriore altera il racconto popolare e finisce per disaggregarlo.
L.S.:- Perché allora la scelta di racconti così aleatori per sperimentare il tuo metodo? Forse perché non disponevi di materiale mitologico in piena padronanza? Per questo sei partito dalle favole popolari russe? Il tuo scritto appare dilaniato da un'antinomia: è chiaro che c'è una storia nelle fiabe, ma una storia praticamente inaccessibile, perché sappiamo pochissimo delle civiltà antistoriche nelle quali esse sono nate. Ma è davvero la storia a mancare?
P:- Siamo vittime di un'illusione soggettiva: non è il passato che ci fa difetto, ma il contesto. I miti più arcaici costituiscono il terreno dal quale la fiaba di magia trae la sua origine remota. Le usanze profane e le credenze religiose si integrano e nasce il racconto popolare. L'osservazione ci presenta in astratto un gran numero di fiabe, ma per classificarle una riduzione a tipologie concrete è indispensabile. Se vogliamo possiamo chiamarle “archifiaba”.
L.S.:- Nel presente miti e favole coesistono a fianco a fianco, quindi un genere non può essere considerato sopravvivenza dell'altro, a meno di non voler presumere che le favole conservino il ricordo di miti antichi, mentre questi sarebbero caduti in disuso. Questa ipotesi è indimostrabile, mentre è certo che mito e favola si nutrano di una sostanza comune, ognuno a suo modo. E' piuttosto una relazione di complementarità. La fiaba è un mito in miniatura.
P:- Nego che la fiaba possa essere considerata un mito residuo, anche se soffre di essere rimasta sola. La scomparsa dei miti ha rotto un equilibrio secolare.
Claude Lévi-Strauss, La struttura e la forma,1960 In Antropologia strutturale due,Il Saggiatore'78 Vladimir Propp, Morfologia della fiaba, 1928- Einaudi, 1966
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