nota di Gianni Quilici
Non essendo un
critico, ma soltanto un lettore critico molto farraginoso, senza studi metodici
alle spalle, e per di più impossibilitato allora a prendere appunti, mentre
leggevo per un infortunio contingente alla spalla, ho letto Inganno
di Philip Roth attraversato da
pensieri e sentimenti contraddittori: dalla noia all’interesse, dalla sorpresa
infine a quella ammirazione che ti suggerisce la parola grandezza.
Ed è il penultimo
capitolo ciò che mi ha colpito fino all’entusiasmo: il dialogo tra il
protagonista, uno scrittore americano ebreo, Philip, che vive a Londra, e la
sua moglie. La donna ha letto casualmente le pagine del romanzo (un taccuino
dice lui), quelle che abbiamo letto anche noi, in cui lui si intrattiene dialogando
di tradimenti e di sesso, di antisemitismo e di psicanalisi , dopo o prima
l’amore, con una donna inglese più giovane di lui, bella, acuta e colta, ma
rassegnata a un matrimonio insoddisfacente.
La moglie dello
scrittore, dopo giorni di silenzioso rimprovero, sollecitata da lui, esplode:
“Tu non vai nel
tuo studio a lavorare, tu vai nel tuo studio a scopare! Tu vedi una donna nel
tuo studio”. “L’unica donna presente nel mio studio è la donna del mio romanzo,
sfortunatamente”, la sua risposta.
Da qui inizia uno
scontro tra lei che lo accusa di mentire, perché le cose che lui rappresenta
sono davvero accadute e lui che obbietta che ciò che scrive è un accurato
esercizio di memoria e un altro accurato esercizio di immaginazione e che
immaginare una relazione amorosa è niente altro che il suo lavoro. Questo
scontro tra la realtà delle cose scritte ( rivendicata dalla moglie) e la
finzione letteraria (rivendicata dallo scrittore) è filtrato attraverso sottili
sfaccettature psicologiche e ideologiche che culminano nel momento in cui lei gli
chiede di togliere, se questi taccuini
dovessero essere pubblicati, il nome Philip, come se il protagonista fosse lo
stesso Roth, con l’altro, spesso
utilizzato come alter ego da Roth, cioè Nathan, per evitare a lei pettegolezzi
e vergogne.
A questo punto lo
scrittore esplode, rivendicando la libertà di scrivere senza condizionamenti
reali o immaginari, perché il vero delitto per lui non è la vergogna, ma
arrendersi alla vergogna. Dice:
“Io scrivo ciò che
scrivo nel modo in cui lo scrivo e, se e quando questo dovesse accadere,
pubblicherò quello che pubblicherò nel modo in cui lo vorrò pubblicare, e non
ho nessuna intenzione di cominciare adesso a preoccuparmi di cosa la gente
potrà travisare e capire male!”
Rimane tutta l’ambiguità
tra realtà e finzione, in questo continuo gioco di rimbalzo tra l’autore Philip
Roth e il personaggio Philip Roth, in un romanzo complesso non sempre risolto,
ma originale e libero, ironico e drammatico.
Philip Roth. Inganno. Deception. Traduzione
di Raol Montanari. Einaudi.
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