21 agosto 2015

“Inganno” di Philip Roth



nota di Gianni Quilici


Non essendo un critico, ma soltanto un lettore critico molto farraginoso, senza studi metodici alle spalle, e per di più impossibilitato allora a prendere appunti, mentre leggevo per un infortunio contingente alla spalla,  ho letto Inganno di Philip Roth attraversato da pensieri e sentimenti contraddittori: dalla noia all’interesse, dalla sorpresa infine a quella ammirazione che ti suggerisce la parola grandezza.

Ed è il penultimo capitolo ciò che mi ha colpito fino all’entusiasmo: il dialogo tra il protagonista, uno scrittore americano ebreo, Philip, che vive a Londra, e la sua moglie. La donna ha letto casualmente le pagine del romanzo (un taccuino dice lui), quelle che abbiamo letto anche noi, in cui lui si intrattiene dialogando di tradimenti e di sesso, di antisemitismo e di psicanalisi , dopo o prima l’amore, con una donna inglese più giovane di lui, bella, acuta e colta, ma rassegnata a un matrimonio insoddisfacente.
La moglie dello scrittore, dopo giorni di silenzioso rimprovero, sollecitata da lui, esplode:
“Tu non vai nel tuo studio a lavorare, tu vai nel tuo studio a scopare! Tu vedi una donna nel tuo studio”. “L’unica donna presente nel mio studio è la donna del mio romanzo, sfortunatamente”, la sua risposta.

Da qui inizia uno scontro tra lei che lo accusa di mentire, perché le cose che lui rappresenta sono davvero accadute e lui che obbietta che ciò che scrive è un accurato esercizio di memoria e un altro accurato esercizio di immaginazione e che immaginare una relazione amorosa è niente altro che il suo lavoro. Questo scontro tra la realtà delle cose scritte ( rivendicata dalla moglie) e la finzione letteraria (rivendicata dallo scrittore) è filtrato attraverso sottili sfaccettature psicologiche e ideologiche che culminano nel momento in cui lei gli chiede di  togliere, se questi taccuini dovessero essere pubblicati, il nome Philip, come se il protagonista fosse lo stesso Roth,  con l’altro, spesso utilizzato come alter ego da Roth, cioè Nathan, per evitare a lei pettegolezzi e vergogne.

A questo punto lo scrittore esplode, rivendicando la libertà di scrivere senza condizionamenti reali o immaginari, perché il vero delitto per lui non è la vergogna, ma arrendersi alla vergogna. Dice:
“Io scrivo ciò che scrivo nel modo in cui lo scrivo e, se e quando questo dovesse accadere, pubblicherò quello che pubblicherò nel modo in cui lo vorrò pubblicare, e non ho nessuna intenzione di cominciare adesso a preoccuparmi di cosa la gente potrà travisare e capire male!”

Rimane tutta l’ambiguità tra realtà e finzione, in questo continuo gioco di rimbalzo tra l’autore Philip Roth e il personaggio Philip Roth, in un romanzo complesso non sempre risolto, ma originale e libero, ironico e drammatico. 

Philip Roth. Inganno. Deception. Traduzione di Raol Montanari. Einaudi.


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