di Giulietta Isola
“Mi illudevo di non aver bisogno di nessuno, mi illudo ancora oggi. Non avevo bisogno di nessuno, e quindi non avevo nessuno. Ma ovviamente abbiamo bisogno di una persona, altrimenti diventiamo inevitabilmente come sono diventato io: difficile, insopportabile, malato, intollerabile nel più profondo senso della parola.”
Thomas Bernhard è faticoso, i suoi libri non sono mai facili da leggere, ma il suo stile inconfondibile ed i personaggi anomali ed estremi sono, per me, di grandissimo fascino, va assunto a piccole dosi ma la sua prosa stimola tutti i sensi ed i suoi soggetti sono difficilmente incontrabili altrove.
Il risvolto della copertina cita “ancora una volta Thomas Bernhard ha costruito una macchina che funziona alla perfezione, l’implacabile radiografia di un’ossessione: impossibilità di essere solo e di non esserlo, impossibilità di scrivere e rinunciare a scrivere”. Rudolf il protagonista-narratore, insegue da anni l’idea di scrivere qualcosa sul compositore Mendelssohn Bartholdy, ma l’inizio è perennemente rimandato. Qualsiasi scusa, anche banale, gli impedisce di cominciare il suo lavoro, una volta è il disagio creato dalla presenza della sorella nella residenza di Peiskam , dove egli vive solitario, una volta sono i pensieri ed i bersagli, in fondo i “soliti”, la Chiesa cattolica, il partito socialista, i giornali vomitevoli , il bigottismo della provincia e la menzogna della città, fino all’Austria tutta, ma soprattutto sé stesso.
Rudolf è un personaggio tormentato, parla di sé, si osserva, analizza la sua percezione del mondo, il suo passato, le sue sensazioni, la sua malattia, si autodenigra in una incessante claustrofobica auto-analisi e nell’impossibilità assoluta di ricomporre dissidi interiori e nell’altrettanti impossibile fuga dall’infelicità nella quale è piombato, è egocentrico, misogino, sprezzante.
L’eterno monologo di Cemento mette in risalto una personalità complessa e quasi perversa , nella quale i concetti si reiterano e si rinnovano e permettono di riconoscere notevoli tratti autobiografici dell’autore che alla fine e come ultima ratio sembra aprirsi al mondo facendo un viaggio a Palma di Maiorca, in quella che pare una soluzione plausibile per scappare dalla “cripta” nella quale vive, ma non serve, anche questa inattesa apertura si rivelerà inconcludente e fonte di “massima angoscia”.
Il suo lavoro non viene mai neppure abbozzato e non può essere altrimenti, scrivere davvero quel saggio su Mendelssohn significherebbe porre fine ad una ricerca, è l’incompiutezza che rende vivi permettendo una continua verifica ed alimentando la creatività. Proprio per questa ragione il saggio sul compositore è tutto per Rudolf, è il fine ultimo della sua esistenza tutto il resto è secondario. Un paradosso tipicamente bernhardiano Rudolf scrive sulla sua impossibilità di scrivere.
Due parole su uno dei più grandi autori del XX secolo che reputo straordinario per i suoi personaggi segnati da una singolare e quasi attraente melanconia, che più che vivere esistono, organizzando la propria esistenza in maniera assolutamente pragmatica. Bernhard si rivolge agli aspetti negativi dell’esistenza umana, come il fallimento, la colpa e il destino, e ci pone uno specchio nel quale possiamo, orribilmente ma al contempo spassosamente, riconoscere noi stessi e il nostro mondo. Consigliato come tutta l’opera di Bernhard.
Thomas Bernhard. Cemento. Se Edizioni
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