15 novembre 2020

"L’incontro con Cassius Clay" di Luciano Luciani

 


Ma le Olimpiadi di Roma del 1960 dovevano riservarmi un’altra straordinaria sorpresa, che mi porto ancora nel cuore come una gemma riservata a pochissimi privilegiati: un rendez-vous con Cassius Clay appena laureatosi campione olimpico nella categoria mediomassimi. Naturalmente accadde per caso. Anch'io, come torme di miei coetanei, gironzolavo petulante per i dintorni del Villaggio Olimpico alla ricerca spasmodica di autografi di atleti, accumulandone in preziosissimi carnet che costituivano il bottino di guerra di noialtri, imperterriti cacciatori di firme di campioni o aspiranti tali. 

Avevo acquistato all'uopo un quadernetto con la copertina nera, lucida, simile a quelli che si usavano a scuola ma di dimensioni più piccole e lì sopra quelle pagine, zelante e gioioso come un bracconiere in bandita, avevo cominciato ad affastellare firme di anonimi pesisti polacchi, sconosciuti lottatori bulgari, componenti di staffette di ignoti Paesi africani mai entrate neppure negli ottavi di finale di qualsivoglia specialità... Era sufficiente individuare un giovanotto in tuta lungo viale Parioli o nei pressi di Villa Glori ed ecco, subito. che 'na pipinara de regazzini lo circondava tra ammirata e minacciosa. Nessuna distinzione di razza o genere. Bastava indossare una tuta colorata... e questi rappresentati della bella gioventù si arrendevano immediatamente, magari anche volentieri - con un sorriso compiaciuto - e cominciavano a firmare. Era l'alternativa all'album delle figurine e va senza dire che i “medagliati” erano i più ambiti.


Ebbene, era già buio lungo l'alberato viale Parioli, quando insieme al mio amico Francesco ne individuiamo due, con la tuta colorata e al centro una grande scritta che lasciava ben presupporre, USA. Uno bianco e uno nero. Il primo procedeva con passo dignitoso e un'aria annoiata. L'altro, il nero, procedeva saltellante: iniziava passi di corsa, di danza, fintava colpi ad avversari immaginari... Appesa al collo, bene in vista sul petto, niente meno che un pataccone d'oro. Crocchio, in men che non si dica, intorno al pugile nero, alto, elegante che il giorno prima, il 5 settembre, aveva conquistato il massimo titolo nella categoria dei mediomassimi e che aveva già fatto parlare di sé i giornali, affermando che presto sarebbe diventato il più famoso pugile di tutti i tempi: era Cassius Clay, fresco come una rosa nonostante le fatiche della recente finale. Poche battute nell'inglese-romanesco che si adoperava in tali casi in quei giorni. E fu subito firma vergata sui nostri libriccini, mentre il campione olimpico ci salutava mimando l'atto di colpire qualcuno di noi. Poi, simpatico sbruffone proseguì la sua passeggiata narcisa per i Parioli con il suo accompagnatore probabilmente incaricato di contenere in limiti accettabili l'esuberanza di quell'asso della noble art. Si allontanò nelle prime ombre di quella indimenticabile sera romana, noi felici del nostro tesoretto appena conquistato con solo un po' di faccia tosta.

L'ho conservata per un'intera vita, quella firma: il quadernetto che la contiene è attualmente depositato in un punto imprecisato della casa di via Bolzano, forse in cantina, tra le raccolte dei fumetti e quella degli Urania. C'è, io so che c'è, ne sono sicuro, basterebbe trovare il tempo e la pazienza per recuperarla.

Recentemente ho scoperto su e bay che oggi quella firma ha assunto anche un valore venale: diecimila euro, mi dicono.

Ma io non la darei via neanche per il doppio.

 


 

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