Sembrano innocui e docili gli oggetti di casa.
Ma non lo sono, come tutto ciò che è con noi a fare un cammino, che dura quel che dura, senza poterlo sapere prima.
Di case ne ho abitate tante. Ho cominciato come figlia a traslocare: dalla Basilicata alla Puglia alle Marche alla Campania. Poi da adulta dalla Campania alla Lombardia. E in Lombardia, nella città dove sono capitata lasciandomi alle spalle la Magna Grecia (dove l’ospitalità era sacra), ho vissuto in quattro appartamenti prima di approdare a quello mio, piccolo, comodo e carino.
Essendo mio, l’ho fatto diventare pian piano adatto al mio modo di pensare, di esserci in questo mondo del terzo millennio.
Mondo assediato, nonostante l’aspetto “brillante” di una sua parte, quella più ricca.
C’è un cancello all’ingresso che si apre su un cortile – che sia benedetto! – con un cipresso alto una quindicina di metri, un grosso tiglio, un grande cedro del Libano e aiuole con fiori, ed anche vasi con fiori. C’è una giovane mimosa che abbiamo fatto piantare il mio compagno ed io.
E ci sono anche altri alberi meno imponenti dei magnifici tre: tiglio, cedro del Libano, cipresso.
Dal cortile si accede alla scala 2 e al terzo piano infine si entra nell’appartamento la cui porta è di fronte all’ascensore. Benvenuti in questo piccolo mondo!
Da esso a volte il mondo sembra inesistente, anche se ho l’abitudine di guardare fuori abbastanza spesso, soprattutto all’ora del tramonto: un rito iniziato in famiglia con mia madre ipersensibile alla natura e che non mi lascia scampo. Una calamita, alla ricerca di sfumature di colori, di forme di nuvole, di anche oggi se ne va, tramonta con il sole.
E mia madre Antonietta , mio fratello Lucio, che inseguiva il tramonto come faccio io, sono con me alla finestra o al balcone.
Gli oggetti non sono innocui e docili.
Una volta scelti e portati in casa hanno una presenza che si impone, che crea umori, che ingombra, che ci appanna o illumina.
Gli oggetti come le persone.
Attenzione alle vibrazioni più o meno sottili che emana tutto quello che ci circonda.
Che emaniamo anche noi a seconda di come ci siamo nutriti, nel corpo e nella mente.
Ho creato una parola per dire che siamo un intero: corama. Mi piace il suono che ha e mi piacerebbe cominciare ad usarla alla chetichella, in sordina. Buttarla lì e fare finta di non averla detta, salvo che qualcuno, curioso di sapere, mi faccia spiegare.
Prima di organizzare il soggiorno come si presenta ora, si sono succeduti un buon numero di cambiamenti, con eliminazione di mobili e oggetti, anche cari a volte. Ho preferito la funzionalità e il respiro dell’ambiente, che poi diventa il mio respiro.
La scrivania dove sto scrivendo, collocata di fronte alla finestra, in un angolo protetto da spifferi e freddo, è alla sua terza e credo ultima posizione.
Davanti a me ho la stanza intera, alla finestra vedo una parte del cipresso, qualche tetto, un pezzo di cielo. Accanto a me appoggiato su un tot di libri – a loro volta su un darbuka, tamburo della tradizione araba – c’è Bonobo Mario: un magnifico primate, detto anche scimpanzé pigmeo o nano, trovato a Sorrento molti anni fa in un negozio stracarico di peluche.
Stavo da tempo cercando un peluche che potesse ricordarmi i Bonobo, i meravigliosi Bonobo: vita pacifica, senza predominio dei maschi sulle femmine, sesso libero e giocoso; chiamati anche i primati Kamasutra.
Meraviglia dell’Africa, così come gli Mbuti, pigmei con una vita simile, alla faccia della nostra “civiltà” presuntuosa e capace di creare una quantità di roba o robaccia da sommergerci.
Bonobo Mario è abbastanza grande, 35 cm circa di altezza, con un’espressione dolce e piena, sembra che ti veda. Bello il pelo, i colori sono variazioni del marrone chiaro, colori caldi; solo il naso è marrone scuro. Gli occhi di plastica hanno una grande pupilla molto scura contornata da un marrone più chiaro.
Ecco un oggetto benefico, che fa venire la voglia di coccolarlo, che ti fa sentire in compagnia, pur sapendo.
Dalla porta d’ingresso al soggiorno ci sono pochi passi attraverso il corridoio, che accompagna tutto l’appartamento fino alla camera da letto che è in fondo.
La porta del soggiorno è stata tolta, al suo posto una tenda giallina scorrevole che fa la differenza quando è ben chiusa. Nella stanza più vissuta, si succedono da destra a sinistra tutto quello che c’è: un tavolino con computer; una piccola libreria con stampante una pianta un Buddha di legno una pantera nera di peluche altre cose; un televisore bianco di 24 pollici; una cassettiera con tre grossi cassetti con sopra una radio e un apparecchio per ascoltare musica;dopo la finestra una libreria più alta; una poltrona stressless norvegese piuttosto comoda; ed eccola la mia scrivania che sporge un po’ fuori rispetto al resto. Poi c’è altro che non elenco, sempre appoggiato alle pareti in modo che lo spazio interno sia abbastanza arioso.
Due pesci di cartone azzurri e celesti, uno più grande dell’altro, visti in un negozio come pubblicità; grande impegno per farseli dare, anche loro benefici come immagine rasserenante acquatica, appuntati sul muro dietro la poltrona stressless. Ed altro alle pareti.
Oggi, mentre scrivo, sta finendo il primo aprile 2020 e siamo ancora in casa con le uscite regolate per un cavolo di virus di cui sappiamo quel che ci fanno sapere in questa babele di dominanti dal volto poco gioioso.
Diceva Spinoza: per andare avanti serve più la speranza che la paura.
E così sia, caro Spinoza, così generoso con chi ti ha seguito nel tempo e nello spazio.
Sulla mia scrivania un libro fresco di stampa: “La rivoluzione nonviolenta – Lo studio della natura umana può evitare una rapida estinzione” di Piero P. Giorgi, che si è occupato in varie Università di sviluppo biologico, neurologia, storia della medicina, educazione alla pace.
Il libro ci racconta di un periodo nonviolento durato almeno 50.000 anni (forse anche 200.000) grazie all’Homo sapiens: l’arte rupestre paleolitica non ha rappresentazioni di violenza, ed anche le culture dei cacciatori-raccoglitori nomadi contemporanei ( i Paleolitici moderni) sono nonviolente. Insomma la violenza sarebbe un’invenzione culturale di circa 6000 anni fa legata alla produzione di cibo. Quindi, secondo l’autore, dovremmo inventare di nuovo la nonviolenza, visto che con il livello di violenza attuale uomo-contro-uomo ed uomo-contro-ambiente rischiamo l’estinzione.
Un libro ricco di molte cose interessanti, da rileggere.
Troppi libri intorno a me.
Leggere sarà pure utile, ma altrettanto utile è selezionare, scegliere con attenzione quel che ci mettiamo dentro la testa.
Prendersi il tempo.
Quando si dice che leggere fa bene, rispondo: dipende, da cosa si legge dipende.
Mi sono liberata di molti libri, adesso faccio fatica a continuare perché quelli rimasti, che sono troppi, sono frutto di una selezione.
Sto rileggendo “Ragione e sentimento” di Jane Austen, la meravigliosa, che, come dice Pietro Citati nell’introduzione, “aveva una mente perfettamente formata e armoniosa: forse solo Raffaello l’aveva come la Austen; una luce giusta, chiara e limpida usciva da lei, avvolgeva le cose, impregnava le persone, toccava le atmosfere e le superfici, giudicava il bene e il male, senza che nessun pregiudizio offuscasse, nemmeno per un momento, lo spirito e la rappresentazione. Come capita solo ai geni, conosceva tutti i segreti della realtà, anche senza averne esperienza”.
Cito da “Ragione e sentimento” queste parole lette da poco che mi ricordano alcune persone purtroppo conosciute: “C’era una specie di freddo egoismo nell’una e nell’altra, che le attirava scambievolmente, sicché simpatizzarono a vicenda in un insipido convenzionalismo di comportamento e in una generale mancanza di intelligenza”.
A me Jane Austen dà assuefazione: faccio fatica a lasciar andare l’atmosfera creata dalle sue parole, dalla precisione del suo sguardo, da tutti quei balli (adoro ballare) di casa in casa, dalle conversazioni argute e sentite. C’è calore, c’è fraternità, c’è la fortuna di aver avuto una bella famiglia affettuosa e comunicativa. Siamo a cavallo fra settecento e ottocento, ma che voglia di fare un salto all’indietro e partecipare ad una di quelle feste, e vedere la campagna inglese, e stare un po’ con quella famiglia, e con Jane.
Ancora aprile 2020. Su Bresciaoggi del 15 aprile si legge: “Spandimento di fanghi e virus. Esplode un altro caso Brescia”. Poi: “L’ammoniaca prodotta dai liquami alimenta i “veleni” atmosferici amplificatori del contagio, secondo i ricercatori di Sima e Harvard”.
E ancora: “Nel bresciano su un milione di abitanti ci sono ben due milioni di maiali e quasi un milione di mucche”.
La trasmissione Report di Rai3, che ha parlato di questo orrore, ha sottolineato come la Regione Lombardia per tutto il mese di febbraio ha di fatto concesso per ben 7 volte gli spandimenti nella zona del bresciano, anche se era in vigore il blocco.
Uno studio della Società Italiana di Medicina ambientale (Sima) ipotizza che il Pm10 abbia aiutato la diffusione del Covid19 nel bresciano.
Ecco uno spaccato degli orrori padani, di questa pianura super sfruttata e senza vento, dove ristagnano tutte le porcherie fatte dall’uomo, in nome del denaro, della competizione, del disprezzo della vita degli animali.
Le mucche sono vegane!
Tra le cose di casa a volte mi sento un po’ sopraffatta dai ricordi, che per me significano un bel tot di rimpianti e qualche rimorso.
Se … se … se …
Come mi piacerebbe poter riattraversare certe situazioni con il senno di poi.
E voilà, bacchetta bacchetta delle mie brame come ti vorrei vorrei …
Tra le cose di casa, spostando un mobiletto dal soggiorno alla cucina, trovo un inserto della rivista “Leggere” (1990), dedicato a Gombrowicz, nato in Polonia nel 1904, autore che, secondo Francesco Cataluccio, ha rappresentato la tragicomica farsa dell’uomo contemporaneo come solo KafKa, Pirandello e pochi altri hanno saputo fare. Gli lascio la parola: “Affermare che noi conserviamo una fondamentale possibilità di libertà di fronte alla sofferenza … cercare di farci credere che siamo liberi noi, vittime, martiri, schiavi … sperimentiamo la più abominevole schiavitù dall’alba a notte fonda … e qui si parla di libertà!” E ancora:” Pure, si direbbe che, a partire dal parrucchiere o dalla sarta, fino al poeta e allo scrittore (ah, quegli autori di romanzi femminili!), non vi sia persona che non abbia cospirato allo scopo di trasformare la donna in un angelo, in un fiore, in una bambina … in poche parole, in tutto tranne che in una donna”.
E, lasciando Gombrowicz ritrovato, ecco la cucina con una porta-finestra che dà su un balcone, che si affaccia sul cortile e le sue piante.
Qui si mangia quasi vegano: trionfo di verdure e legumi, miglio, pasta integrale e semi-integrale, pochissimo formaggio e raramente qualche uovo:
C’è tutto il necessario e il pianeta ringrazia così come gli uomini di buona volontà e gli animali tutti.
Il soggiorno, la cucina, il bagno e in fondo la camera da letto – che fa da stop con la sua porta – danno sul corridoio piuttosto lungo, e largo quanto basta per una serie di librerie poco profonde, una dopo l’altra.
Vicino alla porta d’ingresso c’è un mobiletto bianco che fa da scarpiera, e sopra alla parete un piccolo specchio bianco trovato a Massa Marittima.
Ogni cosa è un ricordo, più o meno chiaro, più o meno sicuro.
… Tra le cose di casa mi sta anche piacendo: c’è più calma e più tempo.
Non sono l’unica.
Certo siamo quelli che se lo possono permettere, avendo una casa, un reddito sicuro, e senza la necessità di esporsi per motivi di lavoro.
Una paura c’è comunque: un crollo economico riguarderebbe tutti, anche se in modo diverso secondo le situazioni sociali.
E questo Covid19 ci lascerà in pace, lui e tutto quello che ci sta intorno nella sua complessità non sempre trasparente?
Aggiungo tre riflessioni di tre autori amati:
Leopardi: “Le parole sono non le vesti, ma i corpi del pensiero”.
Edgar Morin: “La nuova saggezza comporta la comprensione che ogni vita personale è un’avventura inserita in un’avventura sociale, a sua volta inserita nell’avventura dell’umanità”.
Jane Austen: “Noi tutti abbiamo dentro di noi una guida migliore, se siamo disposti a darle ascolto, di quanto possa esserlo qualsiasi altra persona”.
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