07 gennaio 2023

“ Dio a me ha dato la collina “ di Margherita Loy

 

di Marisa Cecchetti

        “In un imbrunire estivo guardo le alture delle Pizzorne farsi violette. L’aria è ferma. Il Morianese mi appare giovane collina sfuggente, non riesco a fissare i suoi contorni fintanto che ci sono immersa. Qui svanisce per mostrarsi più in basso, verso casa tua, verso le coltivazioni di frutta che ignorano il ripido degli oliveti. Mi guardo intorno: il Morianese assorbe il podere e sconfina lentamente, fino al Serchio. Il suo silenzio è di campane che hanno appena smesso di suonare. Le rondini volano come se perdessero il senno, in picchiata.”

       E’ lo sguardo di una donna affidata ai servizi sociali in seguito a una condanna per stalking: deve accudire una anziana disabile, Enza, una contadina che abita poco distante da casa sua, nella piana, una vecchietta piegata in due che cammina con gli occhi che guardano in basso, ma sempre in moto a curare la terra e il pollaio.

       La donna è madre di tre figli ma li ha lasciati al padre, “l’uomo dagli occhi verdi”, quando il più piccolo aveva solo cinque anni: lo ha fatto perché non era riuscita a sottrarsi a una nuova passione, perché sentiva da tempo il peso del suo ruolo, delle cure e preoccupazioni materne, in un cerchio che le si stringeva intorno, quando il ricordo di un tradimento le bruciava ancora.  

       Aveva vissuto con la sua famiglia in quel podere del Morianese, sulla collina dalla terra bianca e dura alla vanga, con il bosco che mugliava al vento e l’oliveto. Ma lei vi passava in mezzo senza vedere terra, piante, fiori, né ascoltare il silenzio o la voce del vento e il rumore della pioggia. Pensava a tutto un aiutante, Serafino. Ora ha perso chi amava, sa di aver visto pezzi di mondo senza capirli, “lasciando passare e morire ogni saggezza”.

Chiusa nel perimetro consentito dalla legge, lei entra nella casa della anziana ogni giorno a portarle la spesa, e la segue nel campo, a piantare e seminare a primavera, lei che non si è mai sporcata le mani con la terra né ha imbracciato una vanga.

       Vive con il peso del passato, delle colpe e delle rinunce a dilatarsi nella solitudine e nel silenzio che le fanno paura, i cani con sé dietro la porta ben serrata. Sola e spaventata nelle notti di tempesta, quando la pioggia dilava la collina e un torrente le sbarra la strada che la porta dalla vecchia: Enza, con l’immagine della Vergine che le pende dal collo e la Bibbia a portata di mano, che si arrampica sulla sedia sopra due cuscini e non la può guardare in faccia, la induce a chinarsi verso di lei, con umiltà. Inizia così un cammino di analisi della propria vita, che esce a brani più estesi ogni giorno, e il racconto più lungo è il rito della domenica.

      Enza non le fa sconti, non accetta lamenti e non la condanna: lei ama ascoltare le storie, ce l’ha abituata il defunto marito che proprio raccontando storie l’ha conquistata. Ma anche l’anziana si racconta, anche lei ha un angolo nascosto in cui ha infilato i propri rimorsi, così tra loro il legame si fa sempre più forte: la casa di Enza è un confessionale dove cade ogni reticenza e ascoltare ed essere ascoltate fa bene ad entrambe.

       Ma chi deve recuperare e mondare il proprio passato è la più giovane, che prova vergogna al ricordo di quella che è stata, dei limiti che ha calpestato, della ragionevolezza che è mancata, delle passioni divoranti, dello sguardo unicamente rivolto a se stessa.

       Le parole di Enza la aiutano ma talora suonano come uno schiaffo. Fanno riflettere e guidano verso un percorso sconosciuto, con lo sguardo che si posa finalmente sul bosco, sugli olivi, sugli uccelli diversi che riempiono di canti l’alba, sui fiori di cui prendersi cura, sulla farfalla che torna ogni giorno, sul falco appollaiato sul filo a sentinella, sulla terra dura e bianca che ora si affronta, si vanga, si coltiva con soddisfazione, con mani rovinate e sempre più callose e gli stivali ai piedi. E’ una trasfusione lenta di saggezza, una scoperta dell’essenziale, in uno stupore crescente per questo nuovo sé, quello che lei va scoprendo e che ora ama.

      Margherita Loy -che è nata a Roma ma vive nella campagna lucchese- dà al romanzo il ritmo del giallo, perché dissemina con parsimonia le informazioni lasciando che si completino nel giorno giusto di confessione. Ed alcune, le più tremende, non si possono nemmeno dire a voce: vero è che Enza non potrebbe vedere il rossore di che le parla, perché siede volta a terra, piegata in due come una roncola, ma anche la sua interlocutrice non troverebbe il coraggio di scoprirsi. Comunque in qualche modo lo saprà.

       E’ una figura dolorosa quella che crea Margherita Loy, ma la poesia che pervade ogni pagina suona come una carezza per la donna che ha ceduto i suoi figli in nome di una passione, un gesto impensabile per una madre, in genere imperdonabile. Figura ancora più esecrabile quando scopriamo i suoi ulteriori sbagli. Eppure non riusciamo a condannarla ma percorriamo la strada in salita con lei, consapevoli delle umane debolezze e forse dei nostri stessi errori.

       La natura intorno è un richiamo e un sottofondo costante nella sua bellezza che varia con le stagioni, ed anche la donna sembra divenuta un elemento della natura, finalmente vera, con la speranza di essere perdonata, ora che si sente pienamente madre -glielo hanno insegnato la vecchia e quella terra-, anche se ha rinunciato a crescere i suoi figli.

Margherita Loy, Dio a me ha dato la collina, Edizioni Atlantide 2022, pag. 176, € 20,00.

 

 

 

 

 

 

 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Marisa Cecchetti hai dato una lettura così completa e profonda del mio libro che mi sento, forse per la prima v volta, interamente compresa, te ne sono molto grata