Cielo grigio a
tutto tondo. A guardare bene, però, strisce di un celestino smorto si allungano
qua e là.
S. Margherita
fermo davanti al passaggio a livello scrivo di getto:
La strada è senza sguardi
Così usuale, così scontata
Che scorre, scorre, scorre
E non rimane niente.
foto Gianni Quilici |
Verso Colle di
Compito, in un tratto di leggera salita, intravedo una di quelle chiese che,
per collocazione, per minutezza mi appare agli occhi come un piccolo gioiello,
anche se poi non ha niente di prezioso artisticamente o architettonicamente.
Perché appare
d’improvviso in alto sopra un poggio, circondata da cipressi, ce ne sono ben 16
su un fianco e dietro, vecchi o da poco piantati e in uno spazio erboso, che domina
la strada.
Come si evince, in
parte dall’immagine, alcuni scalini e un manto d’erba, delimitato da un
muretto, portano alla porta (semplice) della chiesetta con ai lati due panchine di pietra (semplici) e, in alto, con
il bel campanile a vela.
Nessuna scritta,
da nessuna parte, ti informa della chiesa: come si chiami, quale sia la sua
storia e le caratteristiche. Solo sul web trovo che ha un nome: San Martino di Palaiola, che faceva
parte nell’Estimo del 1260, della Pieve dei SS. Giovanni e Reparata di Lucca con
all’interno una sola navata e, come noto anch’io, senza abside.
Castelvecchio si trova poco avanti sulla strada di via di
Tiglio, appollaiato a 138
metri , voltando a destra, attraverso una breve e
tortuosa salita.
E’ un paese,
leggo, che ha un’origine antica. Risale almeno al periodo pre-romano, per la
presenza di un ramo dell’Auser, il fiume Serchio, che favorisce l’insediamento,
l’agricoltura e il commercio; ha il suo massimo splendore con i romani per le
opere di bonifica messe in atto, per la nascita delle prime fattorie e per la
fondazione dell’Abbazia di San Salvatore
di Sesto, che avrà un ruolo economico e politico importante in tutta la
regione. Il borgo collinare, quello dove ora mi trovo, nasce con la fine
dell’impero romano e l’invasione dei barbari. La popolazione, infatti, è
costretta a cercare riparo sulle alture vicine. Da ciò sorgerà Castelvecchio di
Compito, che si trova ancora oggi sulla planimetria dell’antico castello, nato
come strumento di difesa, ma di cui non è rimasto niente.
Il primo aspetto
che, inevitabilmente, colpisce la vista è la sua collocazione raccolta, in alto
sulla collina, ad un passo dalla via provinciale.
foto Gianni Quilici |
Il secondo
elemento interessante: lo sguardo dall’alto sul paesaggio. Perché è uno sguardo
della forma di un semicerchio, largo e vario, punteggiato da molti ingredienti
naturali, fisici ed urbani. Si può
partire dalla via sottostante, abbastanza urbanizzata, salire verso il borgo di
Colle di Compito per arrivare al monte Serra e da lì discendere sulle colline
del compitese, per allargarsi sulla Piana di Capannori, incluse la torre di
avvistamento di Porcari e la collinetta con la torre-campanile di Montecarlo
fino alle Pizzorne per ritornare, infine, a ciò che è più vicino ed attraente,
il lago della Gherardesca con la sua forma stretta e allungata, tra i cipressi e
la vegetazione palustre e la distesa solitaria dei territori bonificati, oggi
in prati e alberi.
Il paese non ha
palazzi rilevanti, manca una vera e propria piazza, e la facciata della Chiesa
di S. Andrea, fondata prima del secolo XIII, ma notevolmente rimaneggiata, è
modesta. Ci sono, invece, case coloniche con mandolato ben ristrutturate, altre
lasciate a se stesse, vicoli, per buona
parte, lastricati in pietra lavorata e alcune case ricoperte da piante di limone con i loro
festosi colori giallo-verde.
Castelvecchio di Compito. Domenica 1 marzo
2015.
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