di Gianni Quilici
Ho letto le poesie
di Virginio Giovanni Bertini come se fossero un racconto. Un racconto visivo.
Immagini e pensieri che si snodano e si sviluppano come se fossero un film.
Un film con molti
montaggi, molti cambiamenti di scena, con primi e primissimi piani, dettagli,
campi lunghi o lunghissimi, panoramiche.
Un film incalzante
senza requie, vibrante e sferzante, inventivo e straziante, realistico e infine
simbolico. Mi ha ricordato ciò che Majakovskij scrisse sul cinema
“Per voi il cinema è spettacolo./ Per me è quasi una concezione del
mondo./ Il cinema è portatore di movimento./ Il cinema svecchia la letteratura.
/Il cinema demolisce l'estetica./ Il cinema è audacia./ Il cinema è un atleta./
Il cinema è diffusione di idee”.
Ho letto le poesie
di Virginio Giovanni Bertini come se fosse una lunga canzone più che cantata
gridata-urlata-invocata con la possibilità di immaginare come sottofondo
musicale dei tamburi o battiti di cuore o, perché no, la primavera di Vivaldi.
Ho letto le poesie
di Virginio Giovanni Bertini come se fosse una lunga poesia al tempo stesso
stratificata e unitaria.
Stratificata per
gli scenari diversi che offre: l’esaltazione del goal e la malinconia del
ricordo; il campione che era e la sedia a rotelle; il centometrista e i campi di mais su cui volava; il quarto
d’ora calcistico esaltante come riscatto collettivo; la staffetta in atletica
come comunità che vuole oltrepassare i propri limiti; la volontà paranoica
spinta al limite e il desiderio di vittoria e di fama; la corruzione come
infiltrazione, speculazione, inquinamento; il giavellottista e Tchaikovski; il
messaggero maratoneta senza gloria, perché correre è già una vittoria; la
solitudine dell’atleta solo dinnanzi alla barriera; la bambina tenera e sola
che danza e canta in cambio di niente.
Unitaria, perché
il protagonista è lo sport nelle sue varie sfaccettature: le diverse specialità
dal calcio al pattinaggio, dal nuoto all’atletica, dal ciclismo alla maratona
primigenia; la molteplicità degli stati d’animo; i protagonisti “fuori campo”
ossia il pubblico e quel mondo di faccendieri, di corrotti, che opera
nell’oscurità.
Unitaria infine
anche per lo stile che attraversa ciascuna di queste poesie.
Uno stile la cui
veemenza musicale è data da rime baciate e rime alternate, da assonanze e
consonanze, da anafore e neologismi.
Una poesia, per
questo anche difficile a farsi per il
duplice rischio, che Bertini quasi sempre evita. Per un verso cercare la musica
(rime varie) con il rischio di ridurre il tasso poetico; per un altro verso
abbandonare improvvisamente la musicalità del verso con il rischio di risultare
stridente.
Ho letto le poesie
di Virginio Giovanni Bertini e ne ho trovata in particolare una, che potrebbe
stare –penso io, senza averne l’autorità- a fianco delle più belle poesie
italiane sullo sport. Ed è “ I cento
metri (elogio della volontà eroica)”.
Proviamo a dire
perché, utilizzando la quarta strofa.
spara fermo sicuro
e uccide il sacro
silenzio
e la corsa
d'impeto va.
Dai blocchi
smollano i corpi
sbozzano i robot
alati
rullano i piedi la
pista
le braccia smenano
forti
muscoli tesi
tirati
razze e colori
azzummati
gli sguardi
sbarcano avanti
vene ai polsi
vibranti.
In questa strofa
colpiscono la notevole visività, velocità e sonorità della corsa.
Sono pochissimi
secondi resi con grande efficacia dallo “sparo fermo e sicuro” dello “starter
vestito di scuro” fino ai dettagli del corpo interamente riversato a dare il
massimo con i “muscoli tesi tirati” con le “vene ai polsi vibranti” e così via.
Questa efficacia è
data dal linguaggio della poesia e dal senso che essa fornisce.
Innanzitutto per
la musicalità con tre rime baciate, diverse assonanze e consonanze con i versi
che scandiscono un ritmo incalzante, perché essi corrono insieme con
l’esplosione psico-fisica degli atleti in corsa.
E poi per la forza
delle scelte lessicali. Il poeta per rendere realistico lo sprigionamento di
tutta l’energia del centometrista, ma anche le sonorità ed i colori utilizza verbi
e aggettivi, che danno nel suono della parola stessa il senso del significato
che essa –la parola- contiene, ricorrendo anche a neologismi tanto arditi
quanto calzanti ( smollano, sbozzano, smenano, azzummati).
Ho letto le poesie
di Virginio Giovanni Bertini, infine, come messaggio che contiene due facce,
l’una contrapposta all’altra. Una contro ed una per.
Una è decisamente
di condanna furiosa e di lotta esplicita contro chi nel “mondo dello sport”
corrompe, ruba, sfrutta, aliena, distrugge. Ed è lo sport come industria legato ad un
profitto esasperato, all’ideologia di una competizione paranoica che esalta e
cancella, alle scommesse e alla corruzione mafiosa, alle sostanze che alterano
il corpo degli atleti lo esaltano per poi eroderlo, in qualche caso, distruggendolo
completamente.
Da qui il
messaggio che Bertini ci lancia: il volto pulito e ludico dello sport come
piacere, creazione e immersione nella luce e nei tanti magnifici possibili
spazi, e non solo sportivi, dalle ‘corti di grano’ alla ‘spiaggia candida’
eccetera eccetera.
Un messaggio e una
suggestione che vengono dalla nostra storia occidentale, da Atene e dalla
Grecia antica, una grande civiltà, dalla cui profonda filosofia tanto dovremmo
ancora imparare, anche nello sport. Ce lo dice proprio la “bambina olimpica”
negli ultimi versi:
“ Gioco antico,/
ludico movimento greco,/ in cambio di niente.
Virginio Giovanni Bertini. La fanciulla olimpica. Aletti. 10 euro.
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