foto Gianni Quilici |
Caro amico Platone,
e così te ne sei andato.
Con la dignità che hanno i gatti, ma in quella forma che
apparteneva solo a te.
Ultimamente adeguavi i
movimenti e le posture a quanto le tue forze ti permettevano: non molto, sempre
di meno. Finché sei rimasto nella tua cuccetta improvvisata sul pavimento,
sdraiato di fianco, stendendo zampette e coda, come fanno i gatti che stanno
morendo.
foto Gianni Quilici |
Ti accarezzavo; sentivo i tuoi ossetti premere contro la
pelle, ma il pelo era sempre morbido. Tu accennavi ad un qualche cosa che
pareva una manifestazione di fusa, debolmente, e giravi il capino,
guardandomi con gli occhi gialli già un
po’ spenti. Cosa avrai pensato?
E cosa avrai pensato in tutti questi giorni di malattia, di
fatica nel mangiare, di diarrea insistente, di vomito, qualche volta...
Ogni tanto stavi meglio, le flebo del veterinario ti aiutavano
un po’; ma poi ricadevi giù.
Ho il rigretto di non essere intervenuta prima, quando vedevo
che già qualcosa non andava.
foto Gianni Quilici |
E ora: i gatti sono liberi e lasciano liberi; il tuo pensiero
non è sempre con me. Ma getto spesso un’occhiata involontaria alla porta a
vetri, da dove ti vedevo comparire; e,
quando parcheggio la macchina in corte, mi aspetto che una massa nera
pelosa sbuchi dalla siepe e si avvicini, oppure sia già tra le mie gambe a
strusciarsi.
Ti chiamavo Ciuffo, Ciuffettino, Ciocciocio...
Se mi capitano sotto gli occhi i posticini dove amavi stare,
dentro e fuori casa, mi si stringe un po’ il cuore.
Ciao, gatto bambino.
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