06 marzo 2015

"Platone, gatto bambino" di Maddalena Ferrari



foto Gianni Quilici

Caro amico Platone,
e così te ne sei andato.

Con la dignità che hanno i gatti, ma in quella forma che apparteneva solo a te.

Ultimamente adeguavi  i movimenti e le posture a quanto le tue forze ti permettevano: non molto, sempre di meno. Finché sei rimasto nella tua cuccetta improvvisata sul pavimento, sdraiato di fianco, stendendo zampette e coda, come fanno i gatti che stanno morendo.

foto Gianni Quilici
Eri ancora vivo, ti spostavi girandoti su te stesso, poggiato sullo stesso fianco.
Ti accarezzavo; sentivo i tuoi ossetti premere contro la pelle, ma il pelo era sempre morbido. Tu accennavi ad un qualche cosa che pareva una manifestazione di fusa, debolmente, e giravi il capino, guardandomi  con gli occhi gialli già un po’ spenti. Cosa avrai pensato?

E cosa avrai pensato in tutti questi giorni di malattia, di fatica nel mangiare, di diarrea insistente, di vomito, qualche volta...
Ogni tanto stavi meglio, le flebo del veterinario ti aiutavano un po’; ma poi ricadevi giù.

Ho il rigretto di non essere intervenuta prima, quando vedevo che già qualcosa non andava.

foto Gianni Quilici
E ora: i gatti sono liberi e lasciano liberi; il tuo pensiero non è sempre con me. Ma getto spesso un’occhiata involontaria alla porta a vetri, da dove ti vedevo comparire; e,  quando parcheggio la macchina in corte, mi aspetto che una massa nera pelosa sbuchi dalla siepe e si avvicini, oppure sia già tra le mie gambe a strusciarsi.

Ti chiamavo Ciuffo, Ciuffettino, Ciocciocio...
Se mi capitano sotto gli occhi i posticini dove amavi stare, dentro e fuori casa, mi si stringe un po’ il cuore.
Ciao, gatto bambino.

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